martedì 29 marzo 2016

Rifiuti pericolosi nel piazzale della ditta e non in discarica

 deposito rifiuti incontrollato forestale

Un deposito di rifiuti illegale dal volume di 350 metri cubi e composto in parte da materiale pericoloso in un complesso industriale di via Canepa.

Ora dovrebbero essere guai per il rappresentante legale dell’impresa di materassi autorizzata solo al recupero dei rifiuti presso aziende e abitazioni, non certo per quanto trovato dalla Forestale. Dal controllo è venuto fuori che non esisteva alcuna autorizzazione allo stoccaggio temporaneo dei rifiuti, che formavano un vero e proprio deposito incontrollato, sanzionato penalmente dal Testo Unicpo Ambientale. In ogni caso, il piazzale è stato sequestrato e il titolare dell’azienda, residente in provincia di Cuneo, è stato denunciato.

Lungomare Canepa, ricorso al Tar del secondo classificato alla gara. Slittano i cantieri

 cronaca

Ritarda l’avvio dei cantieri di lungomare Canepa. Il secondo classificato alla gara bandita dalla Stazione unica appaltante ha fatto ricorso e chiesto la sospensiva. I lavori per l’ampliamento di lungomare Canepa che  sarebbe dovuta diventare a tre corsie per senso di marcia garantendo un collegamento ancora più veloce con la nuova strada a mare Guido Rossa a ponente e con l”ingresso della sopraelevata e dell’autostrada A7 a levante dovevano cominciare questa settimana. La gara d’appalto bandita da Sviluppo Genova era stata assegnata in via provvisoria il 5 febbraio al corsorzio Arem di Santa Maria Capua Vetere che aveva presentato un ribasso di oltre il 38% rispetto ai 7 milioni e 200 mila euro previsti dal bando. I tempi previsti per i lavori erano di circa un anno. Si sarebbe cominciato da ponente con la demolizione di alcuni manufatti oggi espropriati e in gran parte occupati abusivamente, eliminando, finalmente, buona parte del degrado della zona. Ovviamente, come accade per l’avvio di ogni grosso cantiere, ci sarebbero state anche delle preoccupazioni: I parcheggi, per esempio , circa 200 lungo tutto il lato a monte di Lungomare Canepa, avrebbero rischiato di creare qualche disagio ai sampiedarenesi: Ma, a regime avrebbero dovuto riuscire a recuperarli quasi tutti grazie all’abbattimento dei manufatti che avrebbero creato spazi vuoti nonostante l’allargamento della strada. E’ evidente che durante il cantiere invece un po’ di problemi ci sarebbaero stati, dei quali il principale avrebbe riguardato la viabilità in entrata e in uscita da via Sampierdarena: l’innesto in lungomare Canepa a regime prevedeva un’entrata e un’uscita da levante in via De Marini, un’uscita intermedia in piazza dei Minolli e un ingresso e uscita ed entrata a ponente verso la Fiumara. Tutte le altre strade e stradine che collegano lungomare Canepa e via Sampierdarena da progetto avrebbero dovuto essere chiuse e blindate con guard rail. Però, si sarebbe potuto verificare alcune possibilità tra cui quella di un potenziamento del servizio Amt, oltre al reperimento di aree parcheggio e alla riduzione dell’isola azzurra di via Sampierdarena. L’altro problema principale, è che nel progetto non viene previsto il mantenimento della rotonda che porta verso via Sampierdarena e via Molteni, ma quella rotonda non avrebbe potuto essere eliminata  visto che sopratutto chi viene da ponente deve per esempio accedere all’ospedale di Villa Scassi non può certo arrivare fino a Di Negro né utilizzare la piccola uscita di piazza dei Minolli. In ogni caso la rotonda avrebbe dovuto restare fino a che non sarebbero state completate le due sponde del Polcevera verso la strada Guido Rossa anche perché Ansaldo fino al suo insediamento nelle aree Ilva  avrà necessità di far passare i mezzi pesanti da lì. Intanto fra poco avrebbe dovrebbe essere assegnato anche il secondo lotto, quello del nodo di San Benigno in capo a società Autostrade con la realizzazione di una nuova rampa di accesso alla sopraelevata e di una rotatoria per separare il traffico portuale da quello cittadino.

Parchi storici, alla scoperta del nuovo regolamento. Le associazioni: «Servono normative specifiche»

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Dopo una gestazione elefantiaca, la giunta comunale ha finalmente approvato il nuovo Regolamento d’uso dei Parchi storici genovesi. I dubbi degli ambientalisti: «Troppe deroghe. Parchi visti solo come contenitori di eventi. E’ necessario intercettare un nuovo filone di turismo sostenibile». Allo studio provvedimenti specifici per i Parchi di Nervi

 Genova è la città dei Parchi. Sono poche le città che possono vantare così tante oasi naturali in cui fermarsi a respirare tenendo i piedi immersi nel verde ma volgendo comunque gli occhi e il cuore al mare ancora vicino. In città possiamo godere di ben 20 polmoni urbani, tra parchi, ville e giardini storici. Eppure, fino ad oggi, non hanno mai avuto un regolamento d’uso unico che li comprendesse e tutelasse per quello che sono, un bene prezioso e quanto mai delicato.
Ma dopo una lunga attesa, il “Regolamento d’uso dei parchi storici del Comune di Genova” (clicca qui per leggere il teso completo del regolamento, in attesa di approvazione definitiva) è finalmente stato approvato in giunta l’11 febbraio scorso, su proposta dell’assessore comunale all’Ambiente, Italo Porcile. Prima di entrare effettivamente in vigore dovrà passare all’esame dei Municipi, delle Commissioni e del Consiglio comunale. In altre parole, ci vorranno all’incirca ancora due mesi prima che entri formalmente in vigore ma un giro di vite c’è stato e Genova finalmente può dire di avere una normativa ufficiale.

Il nuovo Regolamento d’uso dei Parchi storici

Il documento ha come primario interesse la ridefinizione dei vincoli e delle modalità di utilizzo dei 20 parchi e giardini storici al fine di tutelarli in quanto beni di interesse storico, artistico e ambientale. Abbiamo parlato con l’assessore Porcile per saperne di più sull’intenzione che si pone alla base di questo nuovo provvedimento e sui cambiamenti che potenzialmente intende favorire. «Genova – ci spiega – non aveva mai avuto un regolamento unificato, pur essendo una delle città con il maggior numero di parchi e ville di pregio sia dal punto di vista architettonico che ambientale». Fino ad oggi le disposizioni a cui si faceva riferimento erano quelle del “Regolamento del Verde” e della Polizia Municipale. «Questo regolamento - aggiunge l’assessore – nasce in coerenza con queste norme e per un certo verso le supera e sostituisce»I principi di riferimento sono quelli della Carta dei giardini storici denominata “Carta di Firenze” che ha fissato le linee guida riconosciute a livello internazionale per la salvaguardia dei giardini storici. «Per alcune aree – ci anticipa l’assessore - sono previste integrazioni o regolamenti ulteriori in virtù della loro specificità ambientale o strutturale e in funzione delle loro esigenze di conservazione e fruizione. Ad esempio, i Parchi di Nervi avranno sicuramente norme dedicate in quanto si distinguono dagli altri parchi per estensione, punti d’accesso e caratteristiche naturali».
Oltre alle norme comportamentali che diventano più stringenti e severe in un’ottica di maggior tutela, l’assessore Porcile pone l’accento sull’importanza che avranno queste aeree come teatro di eventi ludico culturali: «Il regolamento cerca di trovare il giusto punto di equilibrio tra la tutela del bene e del territorio e l’interesse a utilizzare questi spazi per eventi di più largo respiro sia dal punto di vista della divulgazione culturale che della fruibilità turistica».
Particolare attenzione viene posta nell’individuazione di un unico referente, il direttore responsabile del parco, per quanto concerne alcuni aspetti di tipo gestionale o di tutela per identificare puntualmente le attività soggette al rilascio di autorizzazione da parte del Comune.
Ci è voluto tanto, forse troppo, per fare il punto su un tema così sentito e Porcile non nega che la lunga attesa sia stata dovuta soprattutto alle lungaggini amministrative (e il cambio di assessore comunale all’Ambiente da Valeria Garotta a Italo Porcile non ha certo accelerato le pratiche) e che questo regolamento sarebbe potuto arrivare prima ma «l’esigenza primaria – sostiene – era quella di averlo adesso in sinergia con gli interventi di riqualificazione dei parchi, sopratutto quelli di Nervi, dell’Acquasola, di Villa Brignole Sale-Duchessa di Galliera e Villa Durazzo Pallavicini».

Che cosa prevede il nuovo regolamento

Il documento approvato si struttura in tre parti: la prima dedicata al regolamento vero e proprio, la seconda elenca le 20 aree oggetto dei provvedimenti, la terza illustra la tabella relativa alle sanzioni.
Il regolamento elenca tutta una serie di disposizioni e limitazioni d’uso rivolte sia ai fruitori dei parchi che agli addetti ai lavori, che di fatto mettono nero su bianco che cosa possiamo e non possiamo fare all’interno delle aree verdi. Salvo deroghe previste in caso di organizzazione di eventi o in caso di manutenzione straordinaria, ad esempio, è interdetto l’accesso al di fuori dell’orario consentito e ai veicoli non autorizzati; viene inoltre ribadita in più punti la pedonalità che caratterizza queste aree. Sono inoltre indicate norme di comportamento generale e regole d’uso rivolte ai proprietari dei cani e all’utilizzo delle aree di gioco in un’ottica di salvaguardia del manto erboso, per cui i cani devono necessariamente essere tenuti a guinzaglio e i bambini devono giocare nelle aree consentite e opportunamente segnalate.
Come già sottolineato da alcuni organi di stampa, curioso l’articolo 16 che dispone il pagamento di un corrispettivo per riprese fotografiche e televisive con finalità commerciali. Per ora restano salvi turisti e fotoamatori.
Infine, nel regolamento sono ampiamente trattate le disposizioni relative alle attività consentite all’interno dei parchi, dai concerti agli spettacoli teatrali, dalle fiere ai laboratori didattici, dalle attività commerciali a quelle di volontariato, che devono essere svolte in un’ottica di rispetto del contesto naturale in cui si trovano. Questo, come vedremo, è probabilmente l’aspetto più nebuloso che preoccupa maggiormente gli ambientalisti: il rispetto sulla carta è previsto ma, in pratica, richiederà l’impiego di ingenti risorse.

I dubbi delle associazioni ambientaliste

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Il testo elaborato è frutto di un lungo lavoro partecipato che ha visto coinvolta la Consulta del Verde, un organo consultivo previsto dal vigente regolamento del Verde e che ne monitora la corretta applicazione. Tra i Componenti della Consulta, che si è costituita nel 2012 e di cui fanno parte anche Legambiente e Italia Nostra, c’è l’associazione “Amici dei Parchi di Nervi” che da tempo aspettava l’uscita di questo Regolamento.
Betti Taglioretti, vicepresidente dell’associazione, accoglie con qualche riserva il testo approvato. «Il primo Regolamento d’uso era già stato progettato nel 2008 sotto l’assessorato di Luca Dallorto – racconta – ma non era stato portavo avanti, probabilmente per ragioni politiche. Solo nel 2012 il discorso è stato ripreso con l’istituzione della Consulta del Verde di cui facciamo parte. Fin dalla sua prima stesura, la nostra proposta prevedeva l’istituzione di una figura fondamentale, un curatore che sovrintendesse il Parco sia sotto l’aspetto botanico che della promozione turistica. Questa figura non viene nominata perché il cosiddetto “direttore del parco” risulta un soggetto non ben definito nelle sue mansioni».
Il tema su cui insiste di più la vicepresidente è la necessità di avere dei Regolamenti d’uso specifici per ogni Parco. Sebbene l’assessore abbia annunciato il lavoro degli uffici in questo senso, secondo Betti Taglioretti non risulta chiaro da chi verranno proposti e in quali modalità. «I Parchi di Nervi – sottolinea a gran voce l’ambientalista – hanno una caratteristica botanica molto accentuata. Il turismo del Verde in Europa ha dei numeri altissimi ma non siamo ancora riusciti a intercettarlo: è assolutamente necessario creare una rete turistica dei Parchi perché Genova non è solo l’Acquario e il Porto Antico. Consideriamo l’uscita del Regolamento un successo ma quello che si evince maggiormente è il forte interesse a voler usare i Parchi come contenitori di eventi ed il rischio è che un bene così prezioso diventi più una messa a reddito che un’occasione per attirare un certo tipo di turismo sostenibile».
L’auspicio, dunque, è che il nuovo provvedimento sia un punto di partenza e che la Consulta del Verde venga presto interpellata nella stesura dei Regolamenti specifici. «Il regolamento - ribadisce Taglioretti – sembra più che altro indirizzato alla promozione della Cultura e questo ovviamente è un bene ma non dobbiamo dimenticarci che la natura dei Parchi è fisiologicamente un’altra e dobbiamo tenere conto che inevitabilmente l’organizzazione di eventi porterà ad uno sfruttamento intensivo del manto erboso sia per l’affluenza che per le strutture allestite. È importante capire chi si assumerà gli oneri del ripristino. La speranza è che a farne le spese non siano i cittadini perché in questi anni sono già stati spesi 18 milioni di euro per la manutenzione e la riqualificazione (4 milioni solo per i Parchi di Nervi)».
Questo un altro aspetto che non convince la vicepresidente che si sofferma sul tema delle deroghe previste praticamente per ogni normativa«È una questione di scelte, se ad esempio si decide che nel rispetto della pedonalità l’accesso alle vetture è interdetto, non possiamo permetterci di concedere tutte queste deroghe che di fatto invalidano la norma. Sarebbe preferibile decidere degli orari di accesso prestabiliti per gli addetti ai lavori e rispettarli».
La speranza è che questo Regolamento porti una maggiore consapevolezza e sia da stimolo per un ulteriore dialogo partecipato. Il punto d’arrivo deve essere la stesura dei regolamenti specifici in un’ottica di migliore comprensione del testo principale e di una maggiore ridefinizione delle regole volte alla valorizzazione del territorio e alla promozione turistica del Verde cittadino oltre che al mantenimento e alla tutela dell’esistente.

di Giulia Manno

lunedì 28 marzo 2016

Di nuovo distrutta la targa dedicata a Ugo Venturini ai giardini di Brignole: serve una telecamera di sorveglianza

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Di nuovo distrutta la targa che ricorda Ugo Venturini, “colpito a morte durante un comizio” (come recita la targa stessa). Non è la prima volta che accade dalla data della decisione di intestare un tratto di strada dei giardini di Brignole al militante di destra ucciso da estremisti di sinistra durante un comizio dell’allora leader Msi Giorgio Almirante il 1º maggio 1970, all’inizio degli anni “Anni di Piombo”. Venturini è la prima vittima di quel periodo doloroso di sangue e di violenze.
La targa era arrivata il 3 aprile 2012. La decisione era stata presa all’unanimità dalla commissione Toponomastica di Palazzo Tursi, che conta una trentina di componenti tra politici, funzionari e associazioni. Alla cerimonia di intitolazione della strada avevano partecipato autorità comunali e un gruppo di militanti di destra. È importante ricordare una persona, un marito, un giovane padre di 32 anni che ha perso la vita per le sue idee politiche. Venturini faceva l’operaio e manteneva la famiglia. Dalla moglie, infatti, aveva avuto un bimbo. Walter. Oltre che attivista del Movimento Sociale Italiano, era anche sindacalista alla Cisnal. Ad ucciderlo è stata una bottiglietta di Coca Cola piena di sabbia che lo aveva centrato in piena nuca. La bottiglia era stata lanciata, appunto, da estremisti di sinistra che non sono mai stati identificati. La moglie si tolse la vita qualche tempo dopo. La decisione, come abbiamo scritto, era stata presa all’unanimità dalla commissione Toponomastica di Palazzo Tursi, che conta una trentina di componenti tra politici, funzionari e associazioni. Insomma, era una targa condivisa da tutti i rappresentanti politici. Da quando è stata rotta, però, è stata distrutta diverse volte e sempre fatta ricollocare dall’attuale amministrazione comunale. L’ultimo atto di vandalismo è recentissimo. Ormai, la sostituzione della targa è un conto aperto tra chi la infrange per evidenti motivi legati alla contestazione politica e operai che ogni volta devono metterne una nuova, con ingente spreco di fondi pubblici. Le targhe delle vie della città sono piuttosto care e anche il lavoro degli operai che la installano ha un costo che ricade sulla collettività. Perciò, oltre al ripristino della targa, si potrebbe, amio avviso, predisporre una telecamera di sorveglianza che possa aiutare a inviduare chi continua a mandare in frantumi la stele.

Esondazioni del Bisagno: misure per la messa in sicurezza di Genova

 Lo sbocco in mare del torrente Bisagno, che attraversa la città di Genova da nord a sud. La messa in sicurezza del corso d’acqua dura da decenni (foto Regione Liguria).

Lo sbocco in mare del torrente Bisagno, che attraversa la città di Genova da nord a sud. La messa in sicurezza del corso d’acqua dura da decenni (foto Regione Liguria).

Il torrente Bisagno con i suoi 30 km taglia da nord a sud la città di Genova, in uno dei territori più edificati d’Italia, per giungere in mare al quartiere Foce. Spesso in secca, è capace di provocare alluvioni in caso di piena, come accaduto nell’ottobre del 1970, negli anni Novanta, il 4 novembre del 2011 e, da ultimo, il 9 ottobre 2014.

 La storia della messa in sicurezza della città di Genova dalle alluvioni è storia antica. E complessa, molto complessa. È la storia del rapporto sbagliato tra il fiume e la città, tra la natura e lo sviluppo urbano e industriale del capoluogo, tra lo scorrere dei corsi d’acqua e la loro tombinatura e cementificazione delle sponde e dei letti dei torrenti. È forse uno degli esempi paradigmatici dell’insensatezza delle scelte dell’uomo nei confronti del proprio ambiente. Ma è anche storia dei ritardi della politica e delle istituzioni, delle burocrazie, del sistema dei lavori pubblici del nostro paese: di un’Italia più attenta al rispetto formale delle regole che delle regole della natura. In mezzo a questa storia ci stanno i disastri, le alluvioni, i morti, i feriti, i danni delle esondazioni del torrente Bisagno, che con i suoi 30 km taglia da nord a sud la città, in uno dei territori più edificati d’Italia, per giungere in mare al quartiere Foce.

Un torrente, il Bisagno, che insieme al Polcevera è uno dei principali corsi d’acqua del capoluogo ligure; spesso in secca, ma capace di provocare alluvioni in caso di piena, come accaduto nell’ottobre del 1970, negli anni Novanta, il 4 novembre del 2011 e, da ultimo, il 9 ottobre 2014. Nella penultima esondazione, quella di quattro anni fa, l’acqua arrivò fino alla stazione ferroviaria di Brignole. Ma i danni maggiori e le sei vittime causate da quell’evento furono provocate dall’esondazione di un altro corso d’acqua, il Rio Fereggiano, che si immette nel Bisagno stesso. Quindi, a Genova, a non funzionare come dovrebbe è l’intera rete dei corsi d’acqua: i torrenti Lentro, Canate e i rii Geirato, Torbiso, Molassano e il Fereggiano, appunto.

Fu a cavallo degli anni Venti e Trenta del secolo scorso che venne realizzata la copertura del torrente Bisagno, con un intervento che, nel tempo, all’incedere dell’urbanizzazione, ha reso ancora più critica la situazione, tanto che nel settembre del 1953, dopo nove giorni di pioggia intensa, si verificarono degli allagamenti fino alla zona centrale della città. Fu il Piano di bacino del dicembre 2001 a rilevare che «l’elevato rischio di esondazione, dovuto al superamento della capacità di smaltimento del tronco canalizzato e coperto, comporta pericolosi effetti di rigurgito a monte. Tali effetti si ripercuotono fino alla confluenza del rio Fereggiano e sono amplificati dalla presenza di ulteriori manufatti di attraversamento e di strutture interferenti con l’alveo».
Vista di viale Brigate Partigiane, strada importante del centro di Genova che porta al mare. Al di sotto dell’arteria scorre, tombinato, il Bisagno (foto Regione Liguria).
Vista di viale Brigate Partigiane, strada importante del centro di Genova che porta al mare. Al di sotto dell’arteria scorre, tombinato, il Bisagno (foto Regione Liguria).

Quattro anni dopo la denuncia contenuta nel Piano di bacino, partirono i lavori di rifacimento del primo lotto della copertura del Bisagno (70 milioni di euro il costo), che furono ultimati nel gennaio del 2009, con un aumento di portata d’acqua da 400 a circa 600 metri cubi al secondo. Sempre nel 2009 fu avviato l’iter per la realizzazione del secondo lotto di rifacimento della copertura del torrente (130 milioni), quello che comprende il tratto dalla questura di Genova fino alla stazione di Brignole. Lotto che è stato finanziato, appaltato e poi sospeso per ben trenta mesi, a causa di ricorsi e contro ricorsi e che fu infine sbloccato solo nell’ottobre del 2014. Un percorso accidentato, ma che merita di essere raccontato, in quanto anch’esso paradigmatico del mal funzionamento del sistema italiano degli appalti e della magistratura amministrativa.
I lavori di intervento sui sottoservizi necessari al rifacimento della copertura del Bisagno (foto Regione Liguria).
I lavori di intervento sui sottoservizi necessari al rifacimento della copertura del Bisagno (foto Regione Liguria).
Ben due, infatti, nell’aprile del 2012, sono stati i ricorsi presentati dai due consorzi di imprese escluse dall’assegnazione dei lavori: il primo al Tar della Liguria, il secondo a quello del Lazio. Nel febbraio 2013, il Tribunale amministrativo ligure ha accolto le tesi dei consorzi ricorrenti e ha disposto l’annullamento dell’intera procedura di gara e l’aggiudicazione dei lavori. Contro questa sentenza il raggruppamento vincitore dell’appalto e il commissario straordinario hanno presentato appello al Consiglio di Stato. Il quale, con sentenza dell’ottobre 2013, pubblicata solo nel gennaio 2014, ha annullato la sentenza del Tar Liguria e dichiarato la competenza funzionale del Tar del Lazio.
I lavori di intervento sui sottoservizi necessari al rifacimento della copertura del Bisagno (foto Regione Liguria).
Dopo la denuncia contenuta nel Piano di Bacino partirono i lavori del primo lotto del rifacimento della copertura del Bisagno: costo 70 milioni di euro (foto Regione Liguria).
È stato quindi riproposto il ricorso al Tribunale amministrativo del Lazio che ha accorpato i due nuovi ricorsi con quelli presentati nel 2012, che sono stati esaminati solo nel settembre del 2014. L’atto finale di questa tormentata vicenda è stato scritto nell’ottobre del 2014, con il deposito delle motivazioni della sentenza del Tar Lazio che ha respinto i quattro ricorsi. Furono i poteri commissariali attribuiti l’anno scorso dallo Sblocca Italia all’allora presidente della regione Liguria, Claudio Burlando, e non più a soggetti esterni alle istituzioni locali, a decretare che i lavori sarebbero potuti ripartire.
I lavori di intervento sui sottoservizi necessari al rifacimento della copertura del Bisagno (foto Regione Liguria).
Tre sono gli stralci previsti dal Piano del Bacino per il rifacimento della copertura del Bisagno. Il secondo stralcio ha previsto il fine lavori per il primo agosto 2017 (foto Regione Liguria).
«Di certo, aver attribuito ai presidenti di regione i poteri commissariali è stata una buona scelta, che ha ricondotto la materia nell’alveo istituzionale – afferma Luca Berruti, funzionario del settore Assetto del territorio della Regione Liguria e attualmente co-coordinatore dell’Ufficio speciale istituito dal Commissario straordinario per il Bisagno –. Per quanto riguarda la copertura del secondo lotto dei lavori del torrente, siamo prossimi alla validazione del progetto esecutivo e alla predisposizione degli atti di gara, che potrebbe essere pubblicata già prima dell’estate o al massimo ai primi di settembre».
Carta delle fasce di suscettività al dissesto del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno. Città Metropolitana di Genova.
Carta delle fasce di suscettività al dissesto del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno. Città Metropolitana di Genova.
Tre sono gli stralci previsti da questo progetto: il primo, di 15,5 milioni di euro e finanziato con economie recuperate dai fondi delle Colombiane (che risalgono al 1990; nda), è stato affidato nel 2009 attraverso un’estensione del contratto del primo lotto e completato nel 2011; il secondo stralcio, del costo di 35,7 milioni di euro, è quello attualmente in corso (i lavori, che avranno una durata contrattuale 840 giorni con ultimazione prevista per il 1° agosto 2017, sono stati consegnati il 14 aprile 2015); il terzo stralcio del secondo lotto completerà l’adeguamento idraulico della copertura (il costo previsto dell’opera è 95 milioni di euro e il progetto è in corso la validazione).
Carta del rischio idraulico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta del rischio idraulico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Va comunque detto che l’intervento sulla copertura del Bisagno è un’opera tecnicamente complessa per diversi ragioni: sull’area gravitano oltre centomila persone, è uno snodo ferroviario e metropolitano importante e un nodo viabilistico cruciale della città. Per questo i lavori di messa in sicurezza procederanno per fasi, in relazione alla complessità del contesto urbano.
«Il progetto prevede tempi lunghi di realizzazione – continua Berruti – dovuti alla viabilità che va garantita e alla presenza dei sottoservizi: oggi stimiamo un tempo che varia da sessanta a sessantacinque mesi, ma un dato esatto lo avremo dopo la revisione dell’esecutivo».
Carta del rischio geologico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno. Città Metropolitana di Genova.
Carta del rischio geologico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno. Città Metropolitana di Genova.
Una volta realizzato l’intero tratto coperto, dalla stazione ferroviaria di Brignole al mare, la portata del Bisagno aumenterà sensibilmente, riducendo in maniera significativa il pericolo di inondazioni. Allo stesso tempo, il rifacimento della copertura permetterà di rimediare il degrado strutturale dell’opera, adeguandola ai carichi previsti dalle attuali normative in materia di infrastrutture. Con l’intervento di rifacimento della copertura la portata attuale di 500 mc/sec aumenterà a 850.
Carta degli interventi del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta degli interventi del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Lo scolmatore del Bisagno. La sistemazione idraulica del Bisagno rientra nelle nove emergenze individuate a livello nazionale dal «Piano degli interventi strutturali per la riduzione del rischio idrogeologico in aree urbane ad altissima vulnerabilità» redatto dal dipartimento della Protezione civile. Come da tante altre parti d’Italia, questa volta alcuni decenni prima dell’impressionante espansione urbanistica degli anni Sessanta, che cambiò radicalmente anche il volto di quella zona di Genova, la parte finale del torrente è stata tombinata e da allora il Bisagno, che tanti danni produce con le sue periodiche esondazioni, scorre al di sotto di due importanti viali cittadini, i viali Brigata Bisagna e Brigate Partigiane, per poi sfociare nei pressi del quartiere fieristico di Genova.
Carta delle tracce delle sezioni idrauliche e dei tratti interessati del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno..
Carta delle tracce delle sezioni idrauliche e dei tratti interessati del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno..
Si tratta di un’area a elevatissima criticità idraulica, dovuta alla grave insufficienza di spazio per il deflusso delle acque. L’alveo attuale, in particolare nel tratto terminale coperto, non è infatti in grado di smaltire portate di piena anche ordinarie. In caso di forti piogge, le acque rischiano quindi di tracimare inondando i quartieri della Foce e di Borgo Incrociati e mettendo a rischio anche piazza della Vittoria e le vie limitrofe. Dal 1945 a oggi si sono contati almeno sette eventi alluvionali di una certa rilevanza che, oltre a danni ingentissimi (dell’ordine delle centinaia di milioni di euro), hanno causato la perdita di 22 vite umane: cinque nel 1945, dieci nel 1970, sei nel 2011 e uno nell’ultima, quella del 2014.
Carta del reticolo idrografico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta del reticolo idrografico del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Il progetto – finanziato dalla Regione con 4,2 milioni – è stato approvato dalla Provincia di Genova nel 2007 solo in linea tecnica per mancanza della copertura finanziaria (costo dell’opera 230 milioni) e prevede la realizzazione di una galleria di scolmo lunga 6 km e 650 metri, in grado di allontanare dall’alveo naturale del torrente Bisagno una portata massima, in occasione di eventi di piena di 200 anni, di 417 mc/sec. La galleria intercetta lungo il suo cammino le portate del torrente Fereggiano e dei rii Rovare e Noce, innalzando la portata di altri 100 mc/sec circa.
Carta della franosità reale del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta della franosità reale del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Il complesso delle opere previste in progetto prevede la realizzazione dello sbarramento e della presa sul torrente Bisagno (sfioratore a soglia fissa di 100 metri di lunghezza, che immette in un canale collettore, di sezione rettangolare, che fa defluire le acque nella galleria di derivazione con una portata di 420 mc/sec; le opere sono completate da una briglia di monte, con una risagomatura del fondo dell’alveo fino alla sezione di sbarramento); della galleria principale di adduzione delle acque di piena (lunga 6.650 metri, diametro interno di 9,5 metri e che termina all’altezza di corso Italia; sul suo cammino intercetta le portate dei torrenti Fereggiano, Rovare e Noce; la portata massima di progetto è di 513 mc/sec); delle opere di presa sul torrente Fereggiano e dei rii minori (si tratta di un’opera di derivazione, di un pozzo a vortice, di un canale di imbocco, di una camera di fondo e di una galleria di collegamento tra il pozzo e la galleria principale); dell’opera di sbocco a mare (per consentire il deflusso a mare delle portate scolmate anche in occasione di condizioni meteo avverse, per garantire il miglior funzionamento idraulico e l’inserimento dell’opera nel contesto è previsto l’avanzamento della linea di costa con la realizzazione di una nuova scogliera di protezione a terra: una mantellata costituita da massi naturali di 8-12 tonnellate).
Carta idrogeologica del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta idrogeologica del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Grazie ai finanziamenti nazionali del «Piano delle città» del 2013 e dopo la comparazione delle possibili soluzioni progettuali, fu deciso di individuare un primo lotto funzionale finalizzato a scolmare solo le portate del Fereggiano (i lavori, con un costo di 45 milioni di euro – 25 dei quali da fondi nazionali, 15 dal comune di Genova e 5 dalla Regione – sono già stati appaltati) e dei corsi d’acqua Noce e Rovare. Dalla progettazione esecutiva del canale scolmatore del Bisagno dovranno quindi essere stralciate le opere già previste nel primo lotto, quali le opere di presa del Fereggiano e dei rii Rovare e Noce e delle relative gallerie di raccordo con quella principale, la galleria di servizio di valle e le opere di sbocco a mare a valle di corso Italia.
Carta delle aree inondabili e delle aree storicamente inondate del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta delle aree inondabili e delle aree storicamente inondate del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
«Per lo scolmatore – prosegue il funzionario della regione Liguria – stiamo definendo l’incarico per le necessarie modifiche al progetto, che ha qualche anno di vita e deve essere aggiornato con le attuali normative tecniche, per andare poi in appalto integrato dei lavori. Stiamo ricercando un accordo coi progettisti, a suo tempo incaricati per la redazione del progetto definitivo, per effettuare i necessari aggiornamenti e integrazioni agli elaborati. Entro l’anno, se l’intervento verrà finanziato, si potrà quindi procedere all’affidamento della progettazione esecutiva e alla realizzazione dei lavori».
Il progetto – il cui committente è stato fino al 31 dicembre scorso la Provincia di Genova e dal 1° gennaio 2015 la Città metropolitana di Genova e che usufruisce di un finanziamento regionale di 4,2 milioni – è stato affidato, con una gara europea, a un’associazione temporanea di imprese formata dalla società veronese Technital, come capogruppo, da Sogreah e dagli studi di ingegneria Galli e Majone&Partners.
Carta delle aree inondabili e delle aree storicamente inondate del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta delle aree inondabili e delle aree storicamente inondate del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Gli altri interventi. Per il Bisagno è previsto un altro intervento, questa volta nel tratto compreso da ponte Monteverde e il ponte Feritore, che prevede la realizzazione di un nuovo argine sulla sponda destra e di consolidare la sponda sinistra per circa 2 km: lavori che complessivamente valgono 33 milioni di euro, sulla base di un progetto definitivo finanziato nel 2002 con 500mila euro dalla regione Liguria. Per il torrente Fereggiano, l’iter dei lavori per la realizzazione del canale scolmatore procede: la progettazione delle opere è conclusa e, dopo l’approvazione del progetto da parte del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, sono stati approvati sia il progetto definitivo sia quello esecutivo, e aggiudicati e definitivamente consegnati i relativi lavori.
Carta degli elementi a rischio del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Carta degli elementi a rischio del Piano di bacino stralcio per la tutela del rischio idrogeologico del torrente Bisagno.
Vi è infine un progetto, finanziato dalla Regione e realizzato dalla Città metropolitana, che prevede la sistemazione e la riqualificazione complessiva del litorale di corso Italia, da punta Vagno a Boccadasse, con opere strutturali previste per allungare e proteggere le spiagge dall’erosione delle mareggiate. Si tratta di un intervento di 3,8 milioni di euro, di cui 1,5 finanziati dal bilancio dell’ex Provincia, il cui progetto è stato frutto della concertazione e della condivisione, oltre che con il comune di Genova, con gli operatori balneari, le società sportive e le associazioni che operano sul litorale.
Il tracciato dello scolmatore del torrente Bisagno.
Il tracciato dello scolmatore del torrente Bisagno.
Genova guarda a Italia Sicura. Nella sede della Regione, che dal 31 maggio scorso ha cambiato guida politica passando da Claudio Burlando (Partito democratico) a Giovanni Toti (Forza italia), si respira un’aria di attesa e di speranza riguardo le promesse del governo e del programma di Italia Sicura e della sua Struttura di missione.
«Il piano del governo per la messa in sicurezza della città di Genova – conclude Berruti – prevede interventi per 275 milioni di euro: 165 milioni destinati ai lavori di realizzazione del canale scolmatore del Bisagno, 95 per completare l’adeguamento della copertura, 10 milioni per la realizzazione delle gallerie sui rii minori che confluiranno nel torrente Fereggiano e 5 milioni, sempre per il Fereggiano, che andranno a sostituire i fondi regionali a suo tempo decurtati. A questi si sommano i 35 milioni di fondi per il cantiere del Bisagno, frutto dell’accordo di programma del 2010 con il ministero dell’Ambiente, che ha stanziato 30 milioni di euro; gli altri 5 provengono dalla Regione».
Il tracciato dello scolmatore del torrente Ferragiano.
Il tracciato dello scolmatore del torrente Ferragiano.
 L’alluvione dell’ottobre 2014 | Scontro di correnti calde e fredde. L’ultima pesantissima alluvione a Genova e dintorni avvenne il 9 ottobre del 2014: in 24 ore sul capoluogo ligure caddero infatti 395 millimetri di pioggia. A esondare furono il Bisagno, lo Sturla, il Fereggiano, il Noce e il Torbella; nella provincia di Genova, a subire la stessa sorte, sono stati lo Scrivia, lo Sturla, l’Entella e il rio Carpi. Tutto il sistema delle acque, in quella tragica giornata, saltò. La notte tra il 9 e il 10 ottobre l’acqua del Bisagno superò di 1 metro e 80 centimetri la quota massima di colmo, mettendo sott’acqua i primi piani delle abitazioni e trascinando decine e decine di auto fino alla stazione di Brignole, la cui zona venne interamente allagata, come nel 2011. L’alluvione, alla fine, è costata un morto, 250 milioni di euro di danni, 25 solo per la città di Genova, 43 comuni del genovese alluvionati. Una situazione disastrosa, che ha prodotto una reazione spontanea di migliaia di cittadini genovesi e di altre parti d’Italia accorsi nel capoluogo, oltre che per protestare per quanto nuovamente accaduto, anche per ripulire le strade e la case invase dal fango.
Un’immagine dell’alluvione del quartiere di Borgo Incrociati a Genova del 4 novembre del 2011 (foto, Regione Liguria).
Un’immagine dell’alluvione del quartiere di Borgo Incrociati a Genova del 4 novembre del 2011 (foto, Regione Liguria).
La causa scatenante dello straordinario evento meteorologico è da ricercarsi nelle forti precipitazioni verificatesi su un’area geografica molto ristretta: un evento aggravato da un forte temporale autorigenerante. L’incontro-scontro del flusso di aria calda con quello di aria fredda è, infatti, la causa del V-shape thunderstorm, cosiddetto per la sua forma a «v» e detto anche autorigenerante. È stato lo scontro tra le correnti fredde settentrionali del vento di Tramontana della pianura padana e quelle caldo-umide meridionali del vento di Scirocco del Tirreno, a creare un microfronte stazionario. In pratica, uno stallo dovuto al flusso d’aria creato dal moto convettivo delle correnti, che rimanevano bloccate sulla zona. Le precipitazioni temporalesche si autoalimentavano, per ricadere subito dopo nelle zone già duramente colpite.
Un’immagine dell’alluvione del quartiere di Borgo Incrociati a Genova del 4 novembre del 2011 (foto, Regione Liguria).
Un’immagine dell’alluvione del quartiere di Borgo Incrociati a Genova del 4 novembre del 2011: la causa scatenante del dissesto è da ricercarsi nelle forti precipitazioni verificatesi su un’area geografica molto ristretta  (foto, Regione Liguria).
Dal Governo 350 milioni per Genova. Una buona notizia, a inizio luglio, per Genova. Sbloccati 350 milioni provenienti dal Piano stralcio delle grandi aree urbane contro il dissesto idrogeologico. Con la pubblicazione in gazzetta ufficiale della delibera Cipe 153 del 20 febbraio scorso, sono stati infatti confermati e attribuiti i 600 milioni messi a disposizione grazie al lavoro della Struttura di missione #italiasicura del direttore Mauro Grassi per conto del governo Renzi. Per la precisione si tratta di 560 milioni provenienti dai fondi si sviluppo e coesione per il periodo 2014-2020 e di 150 milioni individuati dal Cipe sulla base di fondi esistenti, ai quali si aggiungono 110 milioni per il fondo progettazione. Una bella fetta della torta dei finanziamenti del Piano stralcio, che conta complessivamente 1.250 milioni (600 finanziati e 650 da finanziare con la prossima legge di Stabilità), va al contrasto al dissesto idrogeologico per la zona di Genova e quindi alle opere di messa in sicurezza del torrente Bisagno.
Lavori sulla copertura del Bisagno, pochi giorni prima dell’ultima alluvione del 2014 (foto, Regione Liguria).
Lavori sulla copertura del Bisagno, pochi giorni prima dell’ultima alluvione del 2014 (foto, Regione Liguria).
Interessati dal provvedimento governativo gli interventi anti-dissesto anche altre città, oltre Genova: Milano, Torino, Bologna, Firenze, Padova, Roma, Napoli, Catania, Reggio Calabria, Olbia. Dopo la firma del decreto della presidenza del consiglio dei ministri, sarà necessario sottoscrivere gli accordi di programma tra le regioni interessate, il ministero dell’Ambiente e l’Unità di missione, operazione che il direttore Grassi conta di chiudere entro l’estate. La delibera Cipe ha sbloccato anche 110 milioni di euro per il fondo di progettazione, risorse che andranno a finanziare gli enti locali per l’elaborazione dei progetti da inserire nel Piano anti-dissesto del governo da sette miliardi di euro in sei anni: gli interventi presentati nel dicembre scorso dalle Regioni, che valevano complessivamente 22 miliardi di euro, erano ancora fermi in attesa delle risorse per iniziare la progettazione. Sempre all’interno dei 22 miliardi, l’Unità di missione sta definendo un pacchetto di opere, già corredate della progettazione definitiva o di quella esecutiva, per un nuovo piano stralcio anti-dissesto per il contrasto ai fenomeni franosi e all’erosione costiere di 1.365 milioni di euro (1.071 anti-frana e 294 anti-erosione), da finanziare con la legge di Stabilità 2016.

di Pietro Mezzi

 

Ristoranti chiusi, cena di Pasqua, una chimera per i visitatori. Il lato oscuro del mugugno non eccelle nel buon esempio

 turisti coda acquario

I ristoranti tradizionali aperti la sera tra Porto Antico e centro storico erano appena una manciata mentre i turisti un vero esercito. Molti dei locali hanno aperto solo a mezzogiorno. L’offerta nei giorni di festa è rappresentata soprattutto da bar che la sera chiudono e non consentono di consumare la cena o da artigiani alimentari dove non si può mangiare seduti al tavolo
Chiuse tutte le Sciamadda. Turisti dopo il tramonto alla disperata ricerca di un piatto di troffie. L’offerta di servizi di ristorazione ancora non va nonostante il boom della città ed è attualmente il vero punto debole della destinazione-Genova insieme ai parcheggi


 L’offerta di ristorazione tradizionale per i turisti che visitano Genova ancora non funziona come dovrebbe in una città, la nostra, che ha consolidato la propria vocazione turistica, che soprattutto nei ponti primaverili vede l’arrivo di migliaia di persone dall’Italia e dall’estero e che, nonostante, questo ieri sera ha visto frotte di turisti alla (inutile) ricerca di un posto a sedere in un ristorante nell’area più turistica. Il tutto nella città dove è attualmente aperta la mostra, quella dedicata agli Impressionisti, più visitata d’Italia e dove alle biglietterie di mostre, musei e Aquario c’è costantemente la coda.
Delle oltre 200 attività segnalate nella lista della Camera di Commercio, solo 96 si trovano realmente in area turistica tra Porto Antico e centro storico, quella dove i turisti ci sono veramente, perché è impensabile che chi arriva da Milano, dalla Sicilia, dalla Francia o dalla Germania scelga un ristorante che si trova a diversi chilometro da Expo, Ducale e Acquario, prenda l’auto (magari noleggiandola, perché è arrivato in aereo) o un taxi per percorrere una lunga distanza e spostarsi, ad esempio, a Pontedecimo, in Valbisagno, a Levante o a Ponente. Certamente, i locali aperti lontani dall’epicentro del turismo, dove si concentrano i visitatori, sono serviti ieri a mezzogiorno a soddisfare la domanda dei genovesi che li hanno affollati, tanto che era ovunque difficile trovare un tavolo libero per il pranzo pasquale, ma dire che sono a servizio del turismo sarebbe un’affermazione davvero azzardata.
In realtà, i ristoranti veri e propri segnalati nella zona turistica sono solo una ventina, davvero non molti, mentre gli altri sono artigiani alimentari dove non si può consumare seduti al tavolo, bar con tavola fredda, bar dove al massimo si può mangiare un panino o un toast o addirittura gelaterie, che non si possono propriamente annoverare tra i punti di ristorazione dove pranzare o cenare in maniera tradizionale. Molti dei bar chiudono alle 2o o, al massimo, alle 21. Insomma, fanno numero, ma non sono certo da includere nel novero dei ristoranti a disposizione delle migliaia di italiani e stranieri che in questi giorni gravitano sulla città. Se a mezzogiorno i turisti si accontentano di un hamburger in piedi o di un pezzo di focaccia mangiato camminando tra un museo e le vasche dell’Acquario, la sera vogliono stare seduti a mangiare comodi, come avviene in tutte le città turistiche del mondo. Di lavoro ce n’è per tutti: per quelli che vendono un euro di focaccia e per il ristorante chic. Basta aprire.
coda focacceria turisti
(Coda di turisti al panificio di Canneto il Curto per acquistare la focaccia)
Ieri, ancora una volta, nelle aree più turistiche della città i visitatori hanno trovato ben poco, esattamente come era successo nelle feste di Capodanno. Segno che l’esperienza non ha insegnato granché.
Basta moltiplicare il numero dei ristoranti veramente disponibili (in serata quelli aperti nella zona erano meno di una ventina perché finito il pranzo pasquale molti hanno chiuso per non riaprire fino all’indomani) per il numero dei posti per capire l’inadeguatezza dell’offerta messa a disposizione. Si può calcolare un’ottantina di posti per ogni locale, perché le attività del centro storico sono molto piccole. Il risultato della moltiplicazione è, abbondando, di 1.600 “seggiole” contro una “domanda” generata da migliaia di turisti che non si può pensare ragionevolmente di soddisfare con ristoranti lontani dall’epicentro anche se, probabilmente, è questo il sogno dei ristoratori che hanno la propria attività in zone periferiche rispetto alle aree turistiche. Però non funziona così, non funziona così in tutto il mondo e certo Genova non può pretendere di rappresentare un’eccezione. Da che mondo è mondo, è l’offerta che deve spostarsi dove c’è la domanda, non il contrario.
La gran parte delle attività di ristorazione vera e propria realmente aperte ieri sera e segnalate dalla lista redatta dalla Cciaa in collaborazione con le associazioni di categoria, inoltre, si concentrava nel Porto Antico. Questo ha fatto sì che la città oltre i cancelli dell’Expo dopo le 20 fosse un deserto dove i turisti vagolavano alla ricerca di un piatto caldo per poi accontentarsi nella maggior parte dei casi di un aperitivo con due stuzzichini o si spostavano proprio al Porto Antico. Consumare un pranzo tradizionale genovese “con le gambe sotto al tavolo” fuori dai cancelli risultava davvero difficile.
In tutta questa situazione, che riporta alla ribalta la forte necessità di adeguare veramente l’offerta alla nuova vocazione turistica della città (una circostanza tanto invocata e che finalmente è diventata realtà) c’è da segnalare la situazione delle “sciamadda“, i negozi di torte e farinate che compaiono come un fiore all’occhiello della città in ogni rivista turistica e che invece nelle giornate di festa risultano per la maggior parte inderogabilmente e pervicacemente chiuse.
C’è ancora molto da fare per garantire vera accoglienza, quella che una città turistica deve offrire per ritenersi veramente tale. Mugugnare di meno e offrire di più adeguandosi alle leggi del mercato potrebbe essere la strada giusta. anche perché ormai ogni disservizio viene ribaltato sui social network dedicati alle destinazioni di viaggio e amplificato dalla rete. Il forte sforzo che tutti i soggetti coinvolti fanno per promuovere la destinazione, può essere vanificato da un’inadeguata offerta lamentata su internet e può far perdere molti visitatori alla città.
Per carità, a darsi alla ormai anacronistica arte del mugugno è stato il consueto, minuscolo gruppetto dei soliti noti, gli stessi che hanno dato il via, qualche anno fa, a un’incomprensibile e interminabile serie di lamentazioni perché “Il Gran Ristoro” (lo stracelebre punto vendita di panini di Sottoripa i cui conti viaggiano tra i 2,5 e i 5 euro) nella classifica dei giudizi dei frequentatori del sito era sopra a ristoranti da 30/40 euro a persona. Non capire che i turisti a mezzogiorno mangiano in fretta spendendo il meno possibile per concedersi una cena con tutti i crismi è un po’ come non comprendere, dopo anni in cui ad ogni ponte festivo segue la segnalazione dei troppi ristoranti chiusi la sera dei giorni festivi, che forse è il caso di attrezzarsi per rimanere aperti e fare fronte alla richiesta che viene dalle stesse migliaia di persone che di giorno si mettono in fila a Palazzo Ducale e all’Acquario. Eh, sì, tutta quella gente deve mangiare anche di sera.
In questi anni, per fortuna, tutti sono cambiati e hanno abbandonato le rispettive battaglie di retroguardia e le rendite di posizione, vestigia desuete di un periodo in cui il turismo era prettamente business, danaroso e poco invasivo: il Comune ha cominciato a collaborare coi privati e insieme alla Camera di Commercio ha dato vita a una grande campagna di promozione finanziata con la tassa di soggiorno che sono stati gli stessi albergatori, a Genova, ad invocare. I titolari degli hotel, poi, hanno abbassato il prezzo delle camere, contribuendo in maniera determinante insieme alla valorizzazione della bellezza della città, ad aumentare arrivi e presenze turistiche. Sempre gli albergatori si prestano vendere i biglietti multipli dell’Amt e a distribuire le cartoline sconto per le mostre degli Impressionisti e di Salgado oltre a vendere i biglietti per Acquario e Body Worlds. Tutto questo per rendere un servizio sempre al top per i turisti, che vanno conquistati uno a uno e strappati alle altre destinazioni.
I negozi dell’area turistica, non soloquelli di souvenir, sono aperti anche la domenica. La polizia municipale e le forze dell’ordine si fanno in quattro nonostante la scarsità di personale per tenere almeno il Porto Antico sgombro da posteggiatori e venditori abusivi. Un mare di nuovi piccoli imprenditori ha avviato con sacrificio molte attività di artigianato alimentare e bar.
Qualcosa, prima o poi, dovranno metterci anche i ristoratori tradizionali, in termini di prezzi e in termini di aperture. Affidare i propri mugugni a una testata (peraltro dichiaratamente contraria all’amministrazione comunale) non basta più per risplendere come fulgide stelle nel panorama del turismo cittadino. Tocca ormai davvero di metterci del proprio, esattamente come i loro colleghi che domenica sera hanno fatto uno sforzo per tenere aperto, si sono trovati il ristorante pieno e hanno dovuto mandare via potenziali clienti perché non c’era più posto. I turisti alla disperata ricerca di un piatto di trofie la sera di Pasqua sono la cartina di Tornasole del lato oscuro dell’ospitalità, quello del mugugno, del maniman e della polemica facile. Ha fatto il suo corso e sfigura tra tutta la gente che rema faticosamente per portare a casa il risultato.

di  Monica Di Carlo

Bisagno, il nuovo piano di bacino apre la strada al cemento

 Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2014 l’esondazione del Bisagno invade la zona della stazione Brignole a Genova (foto Balostro)

Nella notte tra il 9 e il 10 ottobre 2014 l’esondazione del Bisagno invade la zona della stazione Brignole a Genova

Prima c’era un muro. Adesso, seppur piccola, una breccia per il cemento si è aperta. A ridosso dei torrenti e in particolare del Bisagno, quello di gran lunga più minaccioso, in molte aree dove prima non si poteva costruire neanche uno spillo, grazie soprattutto alle leggi approvate negli anni dalla Regione, ora la possibilità non è più esclusa. Con vari accorgimenti, entro certi limiti, certo, ma le zone non sono più “rosse” e il blocco non è più assoluto. Questo, in estrema sintesi, raccontano le modifiche ai Piani di bacino che la Regione, concluso l’iter (nei prossimi giorni saranno valutare le osservazioni, che dovevano essere inviate entro giovedì scorso), approverà nelle prossime settimane.
Nel complesso, si tratta del più grande pacchetto di modifiche introdotte ai Piani varati per la prima volta in modo organico nel 2001 dall’allora Provincia. Da allora d’acqua ne è passata sotto ai ponti ed è soprattutto il verificarsi di due eventi disastrosi, nel 2011 e nel 2014, ad aver messo in moto la revisione. Due alluvioni equivalgono infatti a una marea di dati per alimentare i computer che, sulla base di eventi storici e delle caratteristiche del territorio (ponti, strozzature ecc.), possono collocare ciascuna zona a ridosso dei torrenti in una fascia di rischio. E a ciascuna fascia corrispondono dei limiti dal punto di vista di cosa (e come) si può costruire.

Vecchie e nuove alluvioni
La convenzione dei Piani di bacino vuole che la pericolosità dei corsi d’acqua per un luogo sia determinata legandola alla probabile frequenza dell’eventuale piena e in particolare al fatto che questa possa verificarsi ogni cinquanta, duecento o cinquecento anni. A valle di questa classificazione il territorio finisce in cosiddette fasce di inondabilità. Dalla “rossa”, la più a rischio - e Genova ne è zeppa - fino alla verde, la più rassicurante. Per plasmare la nuova mappa Città metropolitana e Regione si sono avvalse di un colosso, la Dhi, che in Italia ha sede a Torino. Il risultato di questi studi, durati due anni e passati più volte al vaglio del Comitato tecnico di bacino, la massima autorità pubblica in tema di idraulica, ha permesso di ridisegnare diverse mappe. Affinando gli studi compiuti, fino a oggi, su uno storico di sette alluvioni dal 1945 in poi, con le peggiore registrate nel 1953, 1970 e 2011. E calcolando per ciascuna area sia il massimo tirante idraulico, vale a dire l’altezza che può toccare l’acqua in caso di esondazione, sia la velocità raggiungibile dalla stessa.
Il Bisagno ai raggi x
Sebbene gli studi riguardino quasi l’intera Liguria, è sui 25 chilometri dell’asta principale del Bisagno che si concentrano le modifiche più importanti. Lo studio ha anzitutto permesso di superare le fasce cosiddette di salvaguardia, vale a dire aree inondate durante le ultime alluvioni, dove vigeva un blocco prudenziale e totale delle costruzioni, ma su cui non c’era stato uno studio che potesse spiegarne le cause (le fasce Ae B ). Per questo motivo non c’è corrispondenza tra il significato dei colori nel vecchio Piano e di quello in fase di approvazione. Il dato che promette di scatenare molta fibrillazione è soprattutto uno: molte aree sono state declassate. In altre parole, molte porzioni di città che erano in fascia A - dove, dal punto di vista edilizio, non si può fare nulla - sono finite in categorie inferiori. I passaggi più numerosi e significativi sono dalla A alla B (per dettagli si vedano la tabella a centro pagina e l’articolo a fianco), suddivisa a sua volta in BB e B0 a seconda della pericolosità relativa, con la prima che è più alta della seconda. Il risultato della revisione apre, dunque, la strada al declassamento parziale del rischio per lex officina Guglielmetti, allentamento dei vincoli per l’ex mercato di corso Sardegna e per le aree di Terralba, via libera al Blueprint di Renzo Piano alla Fiera.
Le novità più significative, per ora, riguardano le aree dell’ex Guglielmetti e di Terralba che, per effetto della variante e del declassamento del rischio, vedono in parte allentati - su superfici consistenti - i vincoli imposti per le costruzioni in fasce esondabili. Difficile dire adesso che interventi potranno essere autorizzati ma, visto che non c’è più il blocco totale a nuove costruzioni, nell’area dell’ex Guglielmetti è possibile che Talea (braccio operativo di Coop in campo immobiliare) abbia il via libera per realizzare una versione modificata e ridimensionata del progetto che prevedeva lì un albergo e una grande struttura di vendita. Nell’autunno scorso la Regione aveva imposto al Comune di cancellare nel nuovo Piano urbanistico la previsione di una grande struttura di vendita, proprio perché quella era un’area ad alto rischio dal punto di vista dell’inondabilità. Dopo l’approvazione del Puc Talea ha impugnato davanti al Tar questo “diktat” (il ricorso al Tribunale amministrativo è ancora pendente) ma adesso bisognerà vedere quali scenari si apriranno con l’entrata in vigore della variante al Piano di bacino.

Fonte

Fiera di Genova, quale destino per aree e dipendenti di una società pubblica in liquidazione?

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La resa dei conti per la Fiera di Genova è ormai vicina. Il 31 marzo l’assemblea dei soci ufficializzerà la liquidazione e la palla passerà nelle mani di un commissario a cui spetterà l’impossibile compito di rilanciare l’area, con il Blue Print di Renzo Piano sullo sfondo. Intanto, a pagarne le conseguenze sono i lavoratori e le manifestazioni come Salone Nautico, Fiera di Primavera ed Euroflora

 La Fiera è morta, viva la Fiera. Il declino dello spazio espositivo più ambito della nostra città è noto ormai da anni ma per capire come si sia arrivati al punto di dover mettere in liquidazione la società (decisione che dovrebbe essere definitivamente sancita dall’assemblea dei soci del prossimo 31 marzo), partecipata da Comune di Genova, Regione Liguria, Città Metropolitana, Camera di Commercio e Autorità portuale, è necessario risalire la linea del tempo per riflettere sulle scelte passate degli amministratori e sullo scarso controllo dei soci.
Simbolo e causa più evidente di questo declino è il padiglione Jean Nouvel, quello blu per intenderci. Inaugurati nel 2009, i suoi 20 mila metri quadrati, che hanno avuto anche non poche criticità strutturali, sono costati oltre 40 milioni di euro e non sono mai stati effettivamente ammortizzati finendo per schiacciare la società Fiera con un debito insanabile.

Salvare le aree, salvare le manifestazioni

Ma a questo punto della storia, l’interrogativo riguarda il destino di tutte le aree fieristiche e, di conseguenza, di tutte le manifestazioni che ospitano ogni anno. Come salvarle? Gli attori di questa tragedia sono molti. Tra questi, il presidente Ariel Dello Strologo, già a capo della Porto Antico Spa. La sua nomina a piazzale Kennedy sembrava il preludio per una fusione tra i due enti ma, ben presto, a tutti è apparsa chiara la follia di addossare un carrozzone finanziariamente disastrato come la Fiera sulle spalle di un ente che, se non virtuoso, quantomeno riesce a stare in piedi con le proprie gambe. Per cui, finché la situazione di Fiera non verrà in qualche modo sanata, la Porto Antico spa ne resterà alla larga.
Altro attore primario è il famoso Blue Print di Renzo Piano che dovrebbe ridisegnare il waterfront e sistemare definitivamente l’assetto delle aree che si affacciano sul mare cittadino. Ma di questo “spin off” del racconto Fiera ci siamo già occupati approfonditamente altrove.
Il terzo protagonista, ancora senza un volto preciso, dovrebbe entrare sulla scena nel prossimo mese di aprile. Si tratta del commissario liquidatore a cui sarà affidata la mission: impossible di valorizzare l’asset fieristico e far rinascere piazzale Kennedy a vita nuova.
A fare le spese di tutta questa situazione, come spesso accade, ci sono i lavoratori, 39 dipendenti della Fiera che, per scongiurare il licenziamento e la disoccupazione, dovranno essere ricollocati in altre realtà proprietà dei soci. Ma un grosso carico del fallimento di piazzale Kennedy cadrà anche sui cittadini, non solo per l’ormai inevitabile refrain di spreco di denaro pubblico, ma anche per l’incerto futuro di tutte quelle kermesse che vedevano nella Fiera di Genova la propria casa e che portavano sotto la Lanterna interessi commerciali e turistici: su tutte, il Salone Nautico, la Fiera Primavera ed Euroflora.
Ecco, allora, che tutti gli attori protagonisti tornano a intrecciarsi sul palcoscenico. Una volta messa in liquidazione la società a fine mese, infatti, il Comune di Genova potrebbe lanciare il bando di gara internazionale fondamentale per la valorizzazione delle aree. Una “sfida” con lo scopo di portare nel capoluogo nuovi investitori privati nel solco del percorso tracciato dall’attualmente utopico Blue Print. Secondo le prime, ottimistiche stime, il passaggio dalla penna dell’archistar genovese alla realtà del waterfront genovese costerà 150 milioni di euro: l’Autorità Portuale si è detta disponibile a “elargire” 70 milioni provenienti dai fondi non utilizzati per la riqualificazione di Cornigliano e delle aree ex Ilva ma, anche se così fosse, resterebbe comunque una fetta consistente di denari da coprire. Da qui, l’esigenza di far confluire a Genova investitori privati, come ha sempre sostenuto il sindaco Marco Doria. Le aree interessate a questo processo sono quelle del levante cittadino: punto di partenza imprescindibile dovrebbe essere l’abbattimento del palazzo ex Nira e dei padiglioni fieristici vuoti e ormai desueti; poi si passerebbe alla realizzazione di nuove costruzioni da destinare a servizi, attività e, in parte, nuove abitazioni; infine, toccherebbe alla creazione del nuovo canale di calma che, affiancato da un nuovo percorso ciclopedonale in quelle che attualmente sono aree portuali, collegherà punta Vagno, la foce del Bisagno e piazzale Kennedy con calata Gadda e il Porto Antico, staccando di fatto dalla terraferma tutte le aree industriali del porto, comprese quelle delle riparazioni navali. Ma, per il momento, è tutto poco più che un disegno blu che potrebbe risultare inutile se le istituzioni non riuscissero a fare quadrato per tenere a Genova alcuni appuntamenti fieristici che, oramai, sono tutt’uno con la storia della città.

Salone Nautico: danno e beffa arrivano da Napoli

L’ultima beffa, infatti, riguarda il Salone nautico e arriva da Napoli. Le parole del presidente della Regione Campania, Vicenzo De Luca, hanno colpito il cuore di una delle kermesse più importanti del capoluogo ligure: «Nauticsud è ripartito ed ha già superato Genova per la presenza di espositori» ha detto il governatore partenopeo. Difficile capire quanto l’uscita di De Luca sia reale o benaugurale, resta il fatto che la manifestazione che caratterizza ogni autunno sotto la Lanterna dal 1962, ha progressivamente perduto il titolo di fiera più importante del mondo nel settore nautico, passando a evento di rilevanza europea fino a doversi accontentare di dominare sul Mediterraneo, dopo essere stato abbondantemente superato dal salone di Dusseldorf.
Che cosa resta oggi, dunque, del Salone Nautico? Difficile individuare come un castello sia stato smontato mattone per mattone ma, di sicuro, l’anno in cui ha avuto inizio il decadimento dell’impero è il 2009. All’epoca scoppiò la bolla della crisi economica che tuttora attanaglia il paese. Ma, se su questa prima debacle nulla si poté fare, il ragionamento sugli anni successivi avrebbe dovuto essere di diversa natura. Responsabilità interne, il “divorzio” tra Fiera di Genova e Ucina (storica co-organizzatrice della kermesse), la Confindustria Nautica e la perdita da parte di quest’ultima di quasi tutti i cantieri nautici nazionali. Ucina ha, tra l’altro, annunciato anche il “Salone bis” che in primavera si terrà a Venezia. Gli esperti del settore hanno pochi dubbi: Salone Nautico e Genova non rappresentano più un binomio inscindibile.

I dipendenti della Fiera e la partita del ricollocamento

Come detto in precedenza, c’è una categoria che rischia di pagare più di tutte le altre lo scotto del baratro in cui si trova immersa la Fiera di Genova. Un percorso scandito a date e a striscioni, il cui più esplicativo recita: “Ci volete tutti morti”. Dopo interminabili commissioni nella Sala Rossa di Palazzo Tursi, dopo proteste in Consiglio regionale e riunioni senza risultati concreti, la partita sui 39 dipendenti della Fiera potrebbe concludersi il 15 marzo. Una vera e propria corsa contro il tempo per chiudere la questione e trovare una ricollocazione ai lavoratori. Lunedì 7 marzo, infatti, sono scaduti i primi 45 giorni dall’inizio della procedura di messa in mobilità dei lavoratori prima della liquidazione dell’azienda e non essendo state sufficienti le trattative sindacali, la palla è passata alla Regione che da quel momento ha ancora 30 giorni di tempo per risolvere la vertenza. Se anche quest’ultimo mese dovesse essere infruttuoso, i dipendenti sarebbero tutti licenziati e andrebbero in mobilità con le relative indennità per due anni. Ecco perché il 15 marzo, il nuovo incontro in Regione potrebbe essere la chiave di volta di tutta la vicenda, pur in un contesto piuttosto inconsueto in cui il regista delle operazioni, ovvero la Regione, è anche una della parti in causa chiamata a trovare una soluzione, essendo uno dei soci di Fiera.
L’esito della trattativa non è per nulla scontato. La soluzione proposta dal Comune di Genova non soddisfa le esigenze di tutti i lavoratori che, secondo Tursi, potrebbero essere ricollocati nelle aziende partecipate Amiu, Aster, Asef e Spim. Sono i 24 lavoratori che, secondo l’ipotesi di accordo, sarebbero destinati all’Amiu, a dire un secco no. Il problema non è difficile da individuare, basta porre una semplice domanda: può un contratto a 18 ore a settimana con uno stipendio di circa 600 euro al mese essere sufficiente per vivere? La risposta è no. «Il nostro scopo è quello di avere garanzie sull’occupazione – ha detto Silvia Avanzino, della Fisascat Cisl – ma questo non dev’essere slegato da quella che è l’attività fieristica e da tutta la partita Fiera. Ricordo che a oggi è in corso una procedura di cessazione dell’attività». Insomma, non se ne fa certo una questione di tipologia di lavoro, ma di reddito. Va anche detto che il Comune di Genova è stato l’unico dei soci pubblici a farsi avanti, mentre Regione Liguria, Città Metropolitana, Camera di Commercio e Autorità Portuale non hanno ancora dato disponibilità a farsi carico dei dipendenti. La strada delle partecipate per ora sembra essere l’unica percorribile ma la proposta dovrà essere rimodulata.

di Michela Serra


Allarme furti: maxi furto in casa a Nervi, rubati gioielli per 13 mila euro

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Ladri d'appartamento scatenati sotto le vacanze pasquali: maxi furto di gioielli la notte in un appartamento di Nervi. I ladri sono entrati in casa approfittando dell’assenza dei proprietari partiti per le vacanze di Pasqua e hanno smurato e tagliato la cassaforte portandosi via gioielli e orologi preziosi per 13 mila euro. Furto anche ad Albaro: i ladri sono entrati rompendo il nottolino della porta e anche in questo caso hanno portato via gioielli.

“C’era una volta Banca Carige”: dalla rivoluzione degli anni ’90 all’inchiesta giudiziaria

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Prima lo storico Banco di San Giorgio, poi l’ottocentesca Cassa di Risparmio, sino al grande boom degli ultimi vent’anni dopo la nascita di Fondazione Carige. Genova e la “sua banca”: siamo ai titoli di coda?

Una situazione in divenire, anche se il crollo dell'inizio di marzo in borsa (lasciò sul terreno il 9,6% a 0,57 euro dopo che la Banca Centrale Europea ha chiesto alla banca un nuovo piano di finanziamento e un nuovo piano industriale) non è certo un buon segnale. Parliamo ovviamente di Banca Carige, ancora “malata”, ad oltre due anni di distanza dall’inchiesta giudiziaria che lasciò a bocca aperta tanti genovesi. E se il futuro prossimo di Carige è ancora un dilemma, vale la pena ricostruire il recente passato, per comprendere meglio il percorso che negli ultimi anni ha portato alla trasformazione della storica banca genovese.

Nota  

La storia: dal Banco di San Giorgio alla Cassa di Risparmio


Genova da sempre ha legato la sua storia al suo mare, ai suoi monti e alle sue banche. La salute di queste ultime, fin dalla loro nascita, è stata la cartina tornasole della vita e dello sviluppo del capoluogo ligure, nel bene e ovviamente nel male. La nascita del Banco di San Giorgio, una delle prime banche della Storia, avvenne a seguito del dissesto economico della “Compagna Communis” genovese, provocato dalla guerra contro Venezia: con provvedimento statale del 1407 furono riuniti tutti i debiti verso i privati cittadini e fu affidato all’istituto la gestione del debito pubblico della città con la possibilità di emettere moneta, come una sorta di banca centrale. Il Banco divenne ben presto istituto di credito riconosciuto e “internazionale”, avendo tra i clienti armatori, enti religiosi e la corona spagnola. La sua ricchezza fu la ricchezza della città: nel XVI e XVII secolo si visse l’apice dell’impero finanziario genovese, e questo oggi è ancora materializzato nella grandiosità urbanistica dei palazzi, delle ville e delle strade. “San Giorgio” arrivò a possedere anche territori, come Famagosta, le colonie in Crimea e la Corsica; ma seguì le sorti della Superba: fu sciolto nel 1805 in seguito alla annessione della Liguria alla Francia giacobina. La Repubblica di Genova sarebbe stata cancellata dieci anni più tardi 
 Nel 1846, il ruolo di propulsore finanziario della città passò alla neonata Cassa di Risparmio di Genova: Carlo Alberto, infatti, trasformò l’antico Monte di Pietà di Genova, fondato nel 1483 dal frate francescano Angelo da Chivasso, oggi venerato come beato, ampliandone la base finanziaria, in modo da sostenere la rinascita economica della città. L’operazione ebbe successo: nacquero imprese, aziende, industrie che presto divennero grandi, e l’economica genovese tornò ricca. I genovesi avevano nuovamente la loro banca. Oggi questa eredità vive in Banca Carige, istituto compreso nel Gruppo Carige, uno dei più consistenti nel panorama italiano ed europeo. Almeno fino ad oggi: la salute del gruppo, e quindi di Banca Carige subisce gli andamenti di un mercato, quello del credito, in una fase di profondi cambiamenti e criticità, che come la Storia ci insegna, hanno dirette ripercussioni sulla vita economica cittadina, e non solo.

Banca Carige, la “rivoluzione” del 1990: le fondazioni bancarie



Per provare a capire meglio lo stato dell’arte odierno, dobbiamo fare ancora un salto nel passato, esattamente nel 1990, quando, per adeguarsi alle normative europee, e aprire al mercato finanziario comunitario, il legislatore italiano inventa le fondazioni bancarie. Le Casse di Risparmio, quindi, in virtù della legge delega 218/1990, diventano istituti di diritto privato, banche vere e proprie, con fini commerciali e speculativi, aperte al mercato finanziario internazionale. A controllarle, sulla carta in via transitoria, sono le fondazioni bancarie, enti di diritto pubblico, il cui unico obiettivo istituzionale, per legge, è quello di perseguire “fini di interesse pubblico e utilità sociale”.

Nasce quindi Fondazione Carige, con ancora in mano le redini della banca; le cariche decisionali sono di nomina politica: il consiglio di indirizzo è composto, infatti, da personalità scelte, con diverse quote, dai sindaci di Genova e Imperia, dal presidente della giunta regionale e da quelli delle provincie toponimiche. Questo organo, oltre a nominare le altre cariche esecutive e amministrative dell’ente, decide come e dove investire il denaro a disposizione della fondazione, e soprattutto indirizza indirettamente le decisioni della banca vera e propria. In altre parole, la banca rimane nelle mani delle amministrazioni locali, che in questo modo possono usarla per finanziare iniziative, lavori, imprese e gli enti stessi, attraverso flussi di credito. Risulta evidente, quindi, che il meccanismo presta il fianco ad eventuali favoritismi, localismi e anche abusi. L’altra faccia della medaglia è, però, quella di garantire la liquidità necessaria per mandare avanti la città e la regione, nel bene e/o nel male. Le ricadute sul territorio sono abbondanti, anche se non per tutti.
Nel frattempo Banca Carige differenzia i mercati e i prodotti, abbracciando il terreno delle assicurazioni e dei leasing, diventando Gruppo Carige, che nel 1995 fa il suo esordio in borsa. Da quel momento è una storia di crescita finanziaria ed espansione territoriale: vengono assorbite altre casse (come quella di Savona e il Monte di Lucca), acquisiti enti assicurativi (Vita Nuova e Levante NordItalia), mentre cresce il numero degli sportelli e dei dipendenti. La Liguria rimane il fulcro geografico dell’attività del gruppo, il quale però pensa in grande, conquistando spazi in tutto il paese.

Giovanni Berneschi e l’inchiesta giudiziaria


L’apice è raggiunto sotto la guida di Giovanni Berneschi, prima nominato amministratore delegato nel 2000 e poi presidente nel 2003; durante questo periodo, infatti, Banca Carige fa registrare numeri record: 678 sportelli sparsi su tutto il territorio nazionale (e anche all’estero), quasi 11 mila dipendenti, tra ramo bancario e assicurativo, un bilancio attivo che nel 2013 arriverà a 1,7 miliardi di euro. Fondazione segue trionfalmente questo andamento: con uno stato patrimoniale di 1,4 miliardi, può mettere a bilancio, nel 2012 un attivo di 67 milioni. Tutto questo ricade direttamente sulla città: Fondazione Carige concede erogazioni per quasi 20 milioni l’anno, finanziando attività e iniziative di ogni tipo, mentre la banca garantisce liquidità in forma di credito alle famiglie e imprese per 32,8 milioni (dato 2012) . Anche la politica e i grandi imprenditori ne traggono giovamento, visto che Carige concede prestiti per finanziare opere, cantieri e società: Erzelli è un esempio fra tanti, ma si potrebbero citare i prestiti alla Porto Antico s.p.a, in difficoltà perché troppo esposta con debitori insolventi, o quelli per tamponare il disastro Carlo Felice o i debiti di A.M.T. Anche Enrico Preziosi, presidente del Genoa C.F.C riceve un generoso prestito: tutta la città si muove grazie al flusso di liquidità garantito dalla sua banca.

Performance straordinarie, che permettono al Gruppo Carige di assestarsi ai primissimi posti nella classifica degli istituti italiani, in un periodo storico dove la congiuntura finanziaria ed economica per molti suoi competitor è disastrosa se non letale. La cosa “non sfugge” agli ispettori di Banca di Italia e le indagini portano alla scoperta del trucco: a bilancio, infatti, venivano schedulati crediti malati, per oltre un miliardo, come se fossero esigibili, dopando in questo modo il saldo contabile. Anche i bilanci della Fondazione risultano alterati: i titoli azionari della banca posseduti (il 46,6% del totale sul mercato), infatti, erano contabilizzati come se il loro valore fosse di 1,35 euro, contro un valore reale di 0,4/0,6 .

Il risveglio è molto brusco; i massimi dirigenti degli enti finiscono sotto indagine e i conti vengono ripuliti; il risultato è il materializzarsi di un situazione drammatica: Banca Carige vede cadere i suoi utili da 1,8 miliardi a 500 milioni di euro, perde posizioni nei rating e precipita in borsa; alcuni comparti vengono venduti (come le assicurazioni), ed è deciso un aumento di capitale. Fondazione, che ha negli utili derivati dai dividendi della banca oltre il 90% delle sue risorse, inizia a cedere quote importanti di azioni. La pulizia dei bilanci, infatti, ha portato alla luce un disavanzo, nel 2013, di oltre 900 milioni, e l’ente non può più permettersi investimenti nella banca; oggi la fondazione, dopo diverse fasi di cessioni, possiede quasi il 2% delle azioni di Banca Carige, ha messo in vendita parte del suo patrimonio (partecipazioni e immobili), passando da 1,4 miliardi a 257 milioni di rendite, avendo ancora un passivo di 216 milioni , con oltre 153 milioni di debito (nel 2007 il monte debiti pesavo solo per 1,9 milioni). Le conseguenze sul territorio non si sono fatte attendere: le erogazioni di Fondazione crollano, scendendo a 93 mila euro nel 2014, contro 11 milioni dell’anno precedente (nel 2009 si contavano addirittura 24 milioni di finanziamenti), mentre Banca Carige chiude i rubinetti del credito, scendendo a 30 milioni di prestiti verso famiglie e piccole e medie imprese contro gli oltre 49 del 2013. Il Gruppo Carige chiude 164 sportelli in Liguria, ridisegnando la sua distribuzione geografica complessiva, arrivando a quota 627 su tutto il territorio nazionale (nel 2013 erano 678 di cui 387 nella nostra regione). Anche il numero di dipendenti inizia a calare: senza contare gli oltre 5000 dipendenti delle assicurazioni cedute, che non sono più stipendiati direttamente dal gruppo, dopo una decennale crescita, si passa dalle 5387 unità del 2013 alle 5154 unità di giugno 2015 (nel 2010 erano 5536). Quindi meno soldi, meno liquidità e meno lavoro.

Questo il quadro odierno, ancora in fase di assestamento: da tempo, infatti, si parla in maniera sempre più insistente di fusione del Gruppo Carige con un altro attore finanziario più solido, cosa che salverebbe l’istituto, ma lo slegherebbe definitivamente da Genova. La Fondazione, invece, rischia la stessa esistenza: il rientro dei debiti è ancora da completare e il suo patrimonio è già irrecuperabilmente ridimensionato; inoltre, è residualmente marginale nel controllo di Banca Carige, e di conseguenza anche gli enti locali e il territorio.
La stagione del credito facile è finita, tutto quello che si muove a Genova ora dovrà trovare altri modi per garantirsi la liquidità necessaria. Che sia un bene o un male, dipenderà dalla capacità politica e progettuale degli amministratori. L’entrata in scena di Vittorio Malacalza, a capo del gruppo industriale che ha acquisito le quote azionarie di Banca Carige messe sul mercato da Fondazione, diventando il socio di maggioranza, è stata accolta con entusiasmo: imprenditore esperto, con una liquidità importante (recentemente uscito da Pirelli con oltre 500 milioni di ricavi), nei fatti ha sbloccato la situazione, salvando l’istituto nel nome della “genovesità” (nonostante sia nato a Bobbio, l’imprenditore è da sempre di base nel capoluogo ligure). Ma tutto il contesto è cambiato, e la banca, mai come oggi, è in balia del mercato e fuori dal “controllo” del territorio: il settantasettenne Malacalza è sì, infatti, genovese, ma prima di tutto è uomo di affari, con interessi diversificati e globali. Una sola cosa è certa: la stagione del credito è indiscutibilmente chiusa, quella che si apre è un’incognita.    

di Nicola Giordanella

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