domenica 10 aprile 2016

Povertà, a Genova: sempre più posti alla mensa dei poveri. La mensa di Sant’Egidio ha servito 25 mila cene

I pacchi alimenti per i poveri di Sant'Egidio 

Sono 3143 (2518 stranieri e 625 italiani) le persone che nel 2015 si sono rivolte ai due Centri Genti di Pace della Comunità di Sant’Egidio, nelle storiche sedi di via Vallechiaria e di Sampierdarena a Genova. Nella nuova mensa, inaugurata a febbraio 2015 e attualmente aperta 3 giorni alla settimana in piazza Santa Sabina, sempre nel centro genovese, hanno mangiato 2386 persone (di cui 732 italiani) con una media di 400 pasti al giorno. I dati, riportati dall’agenzia Dire, sono stati illustrati questa mattina dalla Comunità di Sant’Egidio, che da sempre si occupa del servizio e dell’assistenza volontaria ai più bisognosi, in occasione della presentazione dell’edizione 2016 della guida “Dove mangiare, dormire, lavarsi”, giunta alla sua ventesima edizione, vademecum per “vivere nella povertà a Genova” pubblicato in 4 mila copie distribuite gratuitamente a persone senza dimora, stranieri, famiglie in difficoltà e operatori del settore. In 135 pagine tascabili e 14 sezioni sono contenuti oltre 500 indirizzi di luoghi d’accoglienza in città, tra cui 18 mense, 17 dormitori, 15 ambulatori privati, 4 presidi diurni con servizi di doccia e lavanderia, 110 centri di ascolto parrocchiali e non a cui affidarsi per vestiario e altre necessità.
Per la prima volta, gli italiani sono il primo gruppo nazionale per presenza. «Per gli italiani - commentano i responsabili del centro - la continuità degli accessi è più elevata per chi è arrivato al centro negli anni più duri della crisi, tra il 2011 e il 2012: il 38% di queste persone dopo quattro anni continua a frequentare i nostri servizi, mentre chi si è iscritto nel 2013 e 2014 raggiunge questa percentuale dopo soli due anni».

I dati della nuova mensa di Sant’Egidio

La novità più importante del 2015 è rappresentata dall’apertura della nuova mensa pomeridiana (100 posti a sedere a turno, dalle 17 alle 19) di piazza Santa Sabina, inizialmente aperta un giorno alla settimana, poi due e ora tre. «In poco più di un anno - dicono i volontari – oltre 2386 persone hanno mangiato qui, ovvero un genovese su 245. Di questi il 31% degli iscritti è italiano ma se consideriamo il totale di circa 37 mila pasti serviti fino ad oggi, l’incidenza degli italiani, che quindi vengono più spesso, sale al 44%». Con una media attuale di circa 5 mila pasti al mese, nel 2015 sono stati serviti circa 25 mila cene mentre per il 2016 si conta di arrivare a 60 mila con un costo medio di circa 1500 euro per giorno di apertura. «Tra gli italiani – analizzano i responsabili del servizio – il gruppo più cospicuo è rappresentato da persone senza dimora tra i 50 e i 60 anni, che trascorrono le notti nei dormitori cittadini. E' significativa anche la presenza di anziani che arrivano alla mensa da quartieri semiperiferici: una trentina di persone tra settanta e ottanta anni, di cui solo una decina straniera, alla ricerca non solo di cibo ma anche e soprattutto di socialità anche perché spesso fanno chilometri per venire a prendere pacchi aiuto dal valore commerciale molto esiguo». Sulla mensa fanno affidamento anche persone con problematiche di tipo psichiatrico, che dispongono di insufficienti pensioni di invalidità e non sono in grado di rispondere autonomamente alle proprie necessità. Benché non sia prevista alcuna verifica di reale povertà, la prima volta che si arriva alla mensa di Sant’Egidio è necessario fare una tessera: «Non vogliamo certo schedare le persone - precisano subito i volontari – questo è soltanto un modo per dire a chi viene che ci interessa lui, la sua storia, il suo nome. 
L’interesse alla persona è mostrato anche dal fatto che non si tratta di una mensa self service ma che i commensali, per quei pochi minuti in cui si trovano seduti a tavola, possono dimenticare i problemi della povertà quotidiana e lasciarsi servire dai volontari. «Spesso - spiegano gli addetti - molte persone offrono anche il loro aiuto, un po’ perché hanno molto tempo libero e hanno bisogno di sentirsi utili e un po’ perché siamo una grande famiglia in cui tutti cercano di dare una mano».
Ma non c’è il rischio che, senza controlli, si annidi tra i tavoli ben più di qualche furbetto? «Non possiamo certo avere la sicurezza assoluta - ammettono – ma c’è un dato che in questo senso è molto indicativo di quanto le persone appena possono non vengono alla mensa anche per un fatto di dignità personale.».
L’obiettivo ora è trovare i fondi, rigorosamente privati e in parte derivanti dall’8 per mille, per tenere la mense aperta un quarto giorno alla settimana perché «mentre una volta il primo punto di incontro con nuovi poveri era il centro di via Vallechiara o di Sampierdarena, ora sono sempre più le persone che innanzitutto vengono alla mensa. Insomma, la mensa è la prima porta a cui bussano e che trovano aperta».

Sostegno materiale e sostegno sociale

«Tra i servizi della mensa e quelli di distribuzione pacchi del Centro Genti di Pace – concludono i volontari di Sant’Egidio – c’è poi la grande massa di persone che si appoggiano a noi non solo per ricevere un aiuto materiale ma anche per essere sostenuti in un difficile percorso di integrazione sociale, inserimento lavorativo e superamento della povertà. Nell’ultimo anno abbiamo contribuito reinserire nel mercato del lavoro circa una ventina di persone». Ma il bisogno di socialità, spiegano gli addetti, è testimoniato anche dal fatto che spesso le persone che vanno alla mensa si siedono agli stessi tavoli perché scambiare qualche parola con le persone che hanno incontrato qualche giorno prima.
«Non siamo qui solo per fotografare la realtà dei poveri a Genova ma per fornire il nostro contributo nel tentativo di creare un percorso comune a tutta la città per uscire insieme dalla crisi. Vorremmo dare segnali utili alle istituzioni, ad altre associazioni, a chiunque voglia pensare politicamente al futuro della città». Un concetto che Doriano Saracino della Comunità di Sant’Egidio coniuga anche in “termini cattolici” ricordando la vocazione della comunità stessa: «Gli anziani e i poveri vanno cercati, non possiamo aspettare che vengano tutti da noi. Spesso vivono in tuguri e in situazioni di abbandono di cui ben pochi sono a conoscenza. Questi sono i sepolcri di oggi e la Pasqua per noi è aprire questi sepolcri».

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