Nel territorio metropolitano provinciale di Genova esistono 16 impianti industriali considerati a rischio di incidente rilevante,
secondo i parametri del decreto legislativo n. 334/1999, modificato a
più riprese fino alla recente integrazione del decreto 105 del luglio
scorso. A dirlo è l’ultimo rapporto ISPRA (Istituto Superiore per la
Protezione e la Ricerca Ambientale). Ben 13 di questi impianti
sono dislocati sul territorio del Comune di Genova, facendone il terzo a
livello nazionale per concentrazione, preceduto soltanto da
Ravenna (26 impianti) e Venezia (15). La nostra città deve la sua
posizione in questa speciale classifica alla presenza di infrastrutture
legate al comparto petrolifero: il porto genovese è stato ed è porta
geografica importante per il circuito degli idrocarburi del nord Italia,
e non solo.
Per tutti questi impianti sono previste
norme di sicurezza molto stringenti, tra cui quella che prevede la
realizzazione, da parte dell’azienda, dei Piani di Emergenza Interna
(PEI), che devono essere perfezionati attraverso periodiche
esercitazioni. Dei 16 impianti provinciali, 10 rientrano anche nelle
normative previste dall’articolo 8 della già citata legge in cui vengono
prescritti particolari provvedimenti, per via delle quantità di materiale pericoloso trattato e stoccato. Tra queste disposizioni, una delle più caratterizzanti è quella che rende obbligatoria la stesura da parte della Prefettura di competenza di un Piano di Emergenza Esterno (PEE).
Vi abbiamo già descritto la situazione dei PEE legati agli impianti Iplom di Fegino e Busalla,
svelando, prima di altri, ritardi inquietanti nella stesura e
nell’aggiornamento di questi documenti fondamentali per la sicurezza
dell’ambiente e delle persone.
Ma non ci siamo fermati qui. Facendo ulteriori verifiche abbiamo “scoperto” che di questi 10 impianti, ad oggi, solo
uno è dotato di un PEE aggiornato, pubblico e quindi valido, mentre 4
hanno un PEE pubblico ma scaduto da un anno. Per i rimanenti 5 non vi è
traccia della documentazione, che dovrebbe essere pubblica e, anzi, divulgata chiaramente alla popolazione.
I Piano di Emergenza Esterna scaduti
Ogni PEE deve essere aggiornato ogni qualvolta subentrino modifiche
sostanziali nelle infrastrutture dell’impianto e, comunque, con una
cadenza che non superi i tre anni.
L’unico sito che oggi risulta essere adeguatamente “coperto” è
A-Esse s.p.a., di Cravasco, che produce ossidi di zinco, il cui PEE,
licenziato nel 2013, sarà valido fino al prossimo luglio.
Risultano invece “scaduti” i restanti 4 PEE pubblicati sul sito web delle Prefettura genovese: oltre agli impianti Iplom di Fegino, quindi, il
sito Eni di Pegli (Ex Praoil), che movimenta e stocca prodotti
petroliferi, Superba s.r.l, che oltre agli idrocarburi movimenta
prodotti chimici, e la Carmagnani s.p.a., attiva nello stesso
settore. Questi tre impianti formano quello che i tecnici chiamano
“Quadrante Multedo”: vicinissimi tra loro, hanno porzioni delle “zone di
danno” che si intersecano, con un potenziale “effetto domino” che in
caso di incidenti potrebbe rivelarsi decisamente drammatico. Come tutti
sanno, inoltre, nelle immediate vicinanze sussistono zone densamente
abitate (Pegli e Sestri Ponente), scuole, impianti sportivi, autostrada e
linea ferroviaria. Senza dimenticare il torrente Varenna e il mare a
pochissimi metri. In questo contesto particolarmente delicato, quindi,
un ritardo nell’aggiornamento dei PEE assume contorni inquietanti: i
piani esistono, intendiamoci, ma sono del 2012 e quindi fuori norma.
I Piani di Emergenza Esterna “fantasma”
Ricapitolando:
dei cinque PEE pubblicati sul sito web della Prefettura, solo uno è
attualmente valido. Ma qual è la situazione per i rimanenti impianti a
rischio incidente rilevante presenti sul territorio metropolitano
genovese? Come abbiamo visto, il PEE della raffineria Iplom di Busalla risale al 2006 e non è disponibile al pubblico perché, stando a quanto riferito dalla Prefettura, “in fase di revisione”.
Per gli altri 4 impianti la situazione è simile: del PEE non c’è traccia sul sito della Prefettura. Stiamo parlando dei depositi chimici Silomar di Ponte Etiopia, a pochi metri dallo snodo di San Benigno e dalla Lanterna; i depositi petrolchimici Petrolig, situati in Calata Stefano Canzio, nel cuore del porto vecchio; i depositi Sigemi di fronte a San Quirico e a due passi dal Polcevera; il Porto Petroli Eni, sempre a Multedo.
Il Comune: «Non è compito nostro ma vigiliamo». La Regione: «Presto tavolo con prefettura e governo»
La
questione sembra cogliere di sorpresa anche gli enti locali.
L’assessore per la Protezione Civile del Comune di Genova, Gianni
Crivello, che abbiamo rincorso tra la gestione dell’emergenza sul
Polcevera e l’allerta meteo, ricorda che «la materia non è di
diretta competenza comunale. I nostri uffici tecnici sono al lavoro per
approfondire la questione: solo dopo un’attenta verifica della
situazione ci muoveremo». Sulla stessa lunghezza d’onda il vicesindaco, Stefano Bernini: «La competenza dei piani di emergenza non è nostra – ribadisce – durante
la stesura del Puc, ovviamente, ci siamo appoggiati ad Arpal e Regione
che ci ha fornito le documentazioni tecniche sulle aree limitrofe ai
grandi impianti industriali».
La Regione, invece, attraverso l’assessore all’Ambiente e alla Protezione civile, Giacomo Giampedrone, ci assicura che «finita
l’emergenza (sul caso Iplom, ndr) chiederemo urgentemente un tavolo con
Prefettura e governo per approfondire questa vicenda che, se fosse
confermata, rileverebbe un dato preoccupante» perché un caso come quello
di Fegino «non può ripetersi in nessuna maniera e perché non è possibile che i cittadini oggi convivano oltre che con il danno, anche con la paura costante che qualcosa possa succedere».
A preoccupare non sono, però, solo le procedure di emergenza ma anche tutta la questione legata agli oleodotti che attraversano la città: «Non è immaginabile che tubature con una qualche carenza attraversino la città di Genova – continua Giampedrone – e bisogna affrontare la questione con un piano nazionale».
A preoccupare non sono, però, solo le procedure di emergenza ma anche tutta la questione legata agli oleodotti che attraversano la città: «Non è immaginabile che tubature con una qualche carenza attraversino la città di Genova – continua Giampedrone – e bisogna affrontare la questione con un piano nazionale».
Adesso è certamente il momento
dell’emergenza, momento in cui bisogna fare in fretta per arginare un
danno ambientale che col passare delle ore appare sempre più grave,
soprattutto con il maltempo che complica le operazioni di messa in
sicurezza. Una volta che l’urgenza sarà terminata e la bonifica
definitiva avviata, però, è necessario che gli enti preposti si diano da
fare per mettere in sicurezza il territorio: gli strumenti ci
sarebbero, basterebbe predisporli nella maniera adeguata, ognuno secondo
le proprie competenze. E, possibilmente, anche rapidamente.
Nicola Giordanella
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