Prima lo storico Banco di San Giorgio, poi l’ottocentesca Cassa di Risparmio, sino al grande boom degli ultimi vent’anni dopo la nascita di Fondazione Carige. Genova e la “sua banca”: siamo ai titoli di coda?
Una situazione in divenire, anche se il crollo dell'inizio di marzo in borsa (lasciò sul terreno il 9,6% a 0,57 euro dopo che la Banca Centrale Europea ha chiesto alla banca un nuovo piano di finanziamento e un nuovo piano industriale) non è certo un buon segnale. Parliamo ovviamente di Banca Carige, ancora “malata”, ad oltre due anni di distanza dall’inchiesta giudiziaria che lasciò a bocca aperta tanti genovesi. E se il futuro prossimo di Carige è ancora un dilemma, vale la pena ricostruire il recente passato, per comprendere meglio il percorso che negli ultimi anni ha portato alla trasformazione della storica banca genovese.
Nota
La storia: dal Banco di San Giorgio alla Cassa di Risparmio
Genova da sempre ha legato la sua storia
al suo mare, ai suoi monti e alle sue banche. La salute di queste
ultime, fin dalla loro nascita, è stata la cartina tornasole della vita e
dello sviluppo del capoluogo ligure, nel bene e ovviamente nel male. La
nascita del Banco di San Giorgio, una delle prime
banche della Storia, avvenne a seguito del dissesto economico della
“Compagna Communis” genovese, provocato dalla guerra contro Venezia: con
provvedimento statale del 1407 furono riuniti tutti i debiti verso i
privati cittadini e fu affidato all’istituto la gestione del debito
pubblico della città con la possibilità di emettere moneta, come una
sorta di banca centrale. Il Banco divenne ben presto istituto di credito
riconosciuto e “internazionale”, avendo tra i clienti armatori, enti
religiosi e la corona spagnola. La sua ricchezza fu la ricchezza della
città: nel XVI e XVII secolo si visse l’apice dell’impero finanziario
genovese, e questo oggi è ancora materializzato nella grandiosità
urbanistica dei palazzi, delle ville e delle strade. “San Giorgio”
arrivò a possedere anche territori, come Famagosta, le colonie in Crimea
e la Corsica; ma seguì le sorti della Superba: fu sciolto nel 1805 in
seguito alla annessione della Liguria alla Francia giacobina. La
Repubblica di Genova sarebbe stata cancellata dieci anni più tardi
Nel 1846, il ruolo di propulsore finanziario della città passò alla neonata Cassa di Risparmio di Genova:
Carlo Alberto, infatti, trasformò l’antico Monte di Pietà di Genova,
fondato nel 1483 dal frate francescano Angelo da Chivasso, oggi venerato
come beato, ampliandone la base finanziaria, in modo da sostenere la
rinascita economica della città. L’operazione ebbe successo: nacquero
imprese, aziende, industrie che presto divennero grandi, e l’economica
genovese tornò ricca. I genovesi avevano nuovamente la loro banca. Oggi
questa eredità vive in Banca Carige, istituto compreso nel Gruppo
Carige, uno dei più consistenti nel panorama italiano ed europeo. Almeno
fino ad oggi: la salute del gruppo, e quindi di Banca Carige subisce
gli andamenti di un mercato, quello del credito, in una fase di profondi
cambiamenti e criticità, che come la Storia ci insegna, hanno dirette
ripercussioni sulla vita economica cittadina, e non solo.
Banca Carige, la “rivoluzione” del 1990: le fondazioni bancarie
Per
provare a capire meglio lo stato dell’arte odierno, dobbiamo fare
ancora un salto nel passato, esattamente nel 1990, quando, per adeguarsi
alle normative europee, e aprire al mercato finanziario comunitario, il
legislatore italiano inventa le fondazioni bancarie. Le Casse di Risparmio, quindi, in virtù della legge delega 218/1990, diventano
istituti di diritto privato, banche vere e proprie, con fini
commerciali e speculativi, aperte al mercato finanziario internazionale.
A controllarle, sulla carta in via transitoria, sono le fondazioni
bancarie, enti di diritto pubblico, il cui unico obiettivo
istituzionale, per legge, è quello di perseguire “fini di interesse
pubblico e utilità sociale”.
Nasce quindi Fondazione Carige, con ancora in mano le redini della banca;
le cariche decisionali sono di nomina politica: il consiglio di
indirizzo è composto, infatti, da personalità scelte, con diverse quote,
dai sindaci di Genova e Imperia, dal presidente della giunta regionale e
da quelli delle provincie toponimiche. Questo organo, oltre a nominare
le altre cariche esecutive e amministrative dell’ente, decide come e
dove investire il denaro a disposizione della fondazione, e soprattutto
indirizza indirettamente le decisioni della banca vera e propria. In
altre parole, la banca rimane nelle mani delle amministrazioni locali,
che in questo modo possono usarla per finanziare iniziative, lavori,
imprese e gli enti stessi, attraverso flussi di credito. Risulta
evidente, quindi, che il meccanismo presta il fianco ad eventuali
favoritismi, localismi e anche abusi. L’altra faccia della medaglia è,
però, quella di garantire la liquidità necessaria per mandare avanti la
città e la regione, nel bene e/o nel male. Le ricadute sul territorio
sono abbondanti, anche se non per tutti.
Nel frattempo Banca Carige differenzia i mercati e i prodotti, abbracciando il terreno delle assicurazioni e dei leasing, diventando Gruppo Carige, che nel 1995 fa il suo esordio in borsa. Da quel momento è una storia di crescita finanziaria ed espansione territoriale: vengono assorbite altre casse (come quella di Savona e il Monte di Lucca), acquisiti enti assicurativi (Vita Nuova e Levante NordItalia), mentre cresce il numero degli sportelli e dei dipendenti. La Liguria rimane il fulcro geografico dell’attività del gruppo, il quale però pensa in grande, conquistando spazi in tutto il paese.
Nel frattempo Banca Carige differenzia i mercati e i prodotti, abbracciando il terreno delle assicurazioni e dei leasing, diventando Gruppo Carige, che nel 1995 fa il suo esordio in borsa. Da quel momento è una storia di crescita finanziaria ed espansione territoriale: vengono assorbite altre casse (come quella di Savona e il Monte di Lucca), acquisiti enti assicurativi (Vita Nuova e Levante NordItalia), mentre cresce il numero degli sportelli e dei dipendenti. La Liguria rimane il fulcro geografico dell’attività del gruppo, il quale però pensa in grande, conquistando spazi in tutto il paese.
Giovanni Berneschi e l’inchiesta giudiziaria
L’apice è raggiunto sotto la guida di Giovanni Berneschi,
prima nominato amministratore delegato nel 2000 e poi presidente nel
2003; durante questo periodo, infatti, Banca Carige fa registrare numeri
record: 678 sportelli sparsi su tutto il territorio nazionale (e anche
all’estero), quasi 11 mila dipendenti, tra ramo bancario e assicurativo,
un bilancio attivo che nel 2013 arriverà a 1,7 miliardi di euro.
Fondazione segue trionfalmente questo andamento: con uno stato
patrimoniale di 1,4 miliardi, può mettere a bilancio, nel 2012 un attivo
di 67 milioni. Tutto questo ricade direttamente sulla città: Fondazione
Carige concede erogazioni per quasi 20 milioni l’anno, finanziando
attività e iniziative di ogni tipo, mentre la banca garantisce liquidità
in forma di credito alle famiglie e imprese per 32,8 milioni (dato
2012) . Anche la politica e i grandi imprenditori ne traggono
giovamento, visto che Carige concede prestiti per finanziare opere,
cantieri e società: Erzelli è un esempio fra tanti, ma si
potrebbero citare i prestiti alla Porto Antico s.p.a, in difficoltà
perché troppo esposta con debitori insolventi, o quelli per tamponare il
disastro Carlo Felice o i debiti di A.M.T. Anche Enrico Preziosi,
presidente del Genoa C.F.C riceve un generoso prestito: tutta la città
si muove grazie al flusso di liquidità garantito dalla sua banca.
Performance straordinarie, che
permettono al Gruppo Carige di assestarsi ai primissimi posti nella
classifica degli istituti italiani, in un periodo storico dove la
congiuntura finanziaria ed economica per molti suoi competitor è
disastrosa se non letale. La cosa “non sfugge” agli ispettori di Banca
di Italia e le indagini portano alla scoperta del trucco: a
bilancio, infatti, venivano schedulati crediti malati, per oltre un
miliardo, come se fossero esigibili, dopando in questo modo il saldo
contabile. Anche i bilanci della Fondazione risultano alterati:
i titoli azionari della banca posseduti (il 46,6% del totale sul
mercato), infatti, erano contabilizzati come se il loro valore fosse di
1,35 euro, contro un valore reale di 0,4/0,6 .
Il risveglio è molto brusco; i massimi
dirigenti degli enti finiscono sotto indagine e i conti vengono
ripuliti; il risultato è il materializzarsi di un situazione drammatica:
Banca Carige vede cadere i suoi utili da 1,8 miliardi a 500 milioni di
euro, perde posizioni nei rating e precipita in borsa; alcuni comparti
vengono venduti (come le assicurazioni), ed è deciso un aumento di
capitale. Fondazione, che ha negli utili derivati dai dividendi della
banca oltre il 90% delle sue risorse, inizia a cedere quote importanti
di azioni. La pulizia dei bilanci, infatti, ha portato alla luce un
disavanzo, nel 2013, di oltre 900 milioni, e l’ente non può più
permettersi investimenti nella banca; oggi la fondazione, dopo
diverse fasi di cessioni, possiede quasi il 2% delle azioni di Banca
Carige, ha messo in vendita parte del suo patrimonio (partecipazioni e
immobili), passando da 1,4 miliardi a 257 milioni di rendite,
avendo ancora un passivo di 216 milioni , con oltre 153 milioni di
debito (nel 2007 il monte debiti pesavo solo per 1,9 milioni). Le
conseguenze sul territorio non si sono fatte attendere: le erogazioni di
Fondazione crollano, scendendo a 93 mila euro nel 2014, contro 11
milioni dell’anno precedente (nel 2009 si contavano addirittura 24
milioni di finanziamenti), mentre Banca Carige chiude i rubinetti del
credito, scendendo a 30 milioni di prestiti verso famiglie e piccole e
medie imprese contro gli oltre 49 del 2013. Il Gruppo Carige chiude 164
sportelli in Liguria, ridisegnando la sua distribuzione geografica
complessiva, arrivando a quota 627 su tutto il territorio nazionale (nel
2013 erano 678 di cui 387 nella nostra regione). Anche il numero di
dipendenti inizia a calare: senza contare gli oltre 5000 dipendenti
delle assicurazioni cedute, che non sono più stipendiati direttamente
dal gruppo, dopo una decennale crescita, si passa dalle 5387 unità del
2013 alle 5154 unità di giugno 2015 (nel 2010 erano 5536). Quindi meno soldi, meno liquidità e meno lavoro.
Questo il quadro odierno, ancora in fase di assestamento:
da tempo, infatti, si parla in maniera sempre più insistente di fusione
del Gruppo Carige con un altro attore finanziario più solido, cosa che
salverebbe l’istituto, ma lo slegherebbe definitivamente da Genova.
La Fondazione, invece, rischia la stessa esistenza: il rientro dei
debiti è ancora da completare e il suo patrimonio è già
irrecuperabilmente ridimensionato; inoltre, è residualmente marginale
nel controllo di Banca Carige, e di conseguenza anche gli enti locali e
il territorio.
La stagione del credito facile è
finita, tutto quello che si muove a Genova ora dovrà trovare altri modi
per garantirsi la liquidità necessaria. Che sia un bene o un
male, dipenderà dalla capacità politica e progettuale degli
amministratori. L’entrata in scena di Vittorio Malacalza, a capo del
gruppo industriale che ha acquisito le quote azionarie di Banca Carige
messe sul mercato da Fondazione, diventando il socio di maggioranza, è
stata accolta con entusiasmo: imprenditore esperto, con una liquidità
importante (recentemente uscito da Pirelli con oltre 500 milioni di
ricavi), nei fatti ha sbloccato la situazione, salvando l’istituto nel
nome della “genovesità” (nonostante sia nato a Bobbio, l’imprenditore è
da sempre di base nel capoluogo ligure). Ma tutto il contesto è
cambiato, e la banca, mai come oggi, è in balia del mercato e fuori dal “controllo” del territorio:
il settantasettenne Malacalza è sì, infatti, genovese, ma prima di
tutto è uomo di affari, con interessi diversificati e globali. Una sola
cosa è certa: la stagione del credito è indiscutibilmente chiusa, quella
che si apre è un’incognita. di Nicola Giordanella
Fonte
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