La Fiera è morta, viva la Fiera. Il declino dello spazio espositivo più ambito della nostra città è noto ormai da anni ma per capire come si sia arrivati al punto di dover mettere in liquidazione la società (decisione che dovrebbe essere definitivamente sancita dall’assemblea dei soci del prossimo 31 marzo), partecipata da Comune di Genova, Regione Liguria, Città Metropolitana, Camera di Commercio e Autorità portuale, è necessario risalire la linea del tempo per riflettere sulle scelte passate degli amministratori e sullo scarso controllo dei soci.
Simbolo e causa più evidente di questo declino è il padiglione Jean Nouvel, quello blu per intenderci. Inaugurati nel 2009, i suoi 20 mila metri quadrati, che hanno avuto anche non poche criticità strutturali, sono costati oltre 40 milioni di euro e non sono mai stati effettivamente ammortizzati finendo per schiacciare la società Fiera con un debito insanabile.
Salvare le aree, salvare le manifestazioni
Ma a questo punto della storia,
l’interrogativo riguarda il destino di tutte le aree fieristiche e, di
conseguenza, di tutte le manifestazioni che ospitano ogni anno. Come
salvarle? Gli attori di questa tragedia sono molti. Tra questi, il
presidente Ariel Dello Strologo, già a capo della Porto Antico Spa. La
sua nomina a piazzale Kennedy sembrava il preludio per una fusione tra i due enti
ma, ben presto, a tutti è apparsa chiara la follia di addossare un
carrozzone finanziariamente disastrato come la Fiera sulle spalle di un
ente che, se non virtuoso, quantomeno riesce a stare in piedi con le
proprie gambe. Per cui, finché la situazione di Fiera non verrà in
qualche modo sanata, la Porto Antico spa ne resterà alla larga.
Altro attore primario è il famoso Blue Print di Renzo Piano che dovrebbe ridisegnare il waterfront e sistemare definitivamente l’assetto delle aree che si affacciano sul mare cittadino. Ma di questo “spin off” del racconto Fiera ci siamo già occupati approfonditamente altrove.
Il terzo protagonista, ancora senza un volto preciso, dovrebbe entrare sulla scena nel prossimo mese di aprile. Si tratta del commissario liquidatore a cui sarà affidata la mission: impossible di valorizzare l’asset fieristico e far rinascere piazzale Kennedy a vita nuova.
Altro attore primario è il famoso Blue Print di Renzo Piano che dovrebbe ridisegnare il waterfront e sistemare definitivamente l’assetto delle aree che si affacciano sul mare cittadino. Ma di questo “spin off” del racconto Fiera ci siamo già occupati approfonditamente altrove.
Il terzo protagonista, ancora senza un volto preciso, dovrebbe entrare sulla scena nel prossimo mese di aprile. Si tratta del commissario liquidatore a cui sarà affidata la mission: impossible di valorizzare l’asset fieristico e far rinascere piazzale Kennedy a vita nuova.
A fare le spese di tutta questa situazione, come spesso accade, ci sono i lavoratori, 39 dipendenti della Fiera che, per scongiurare il licenziamento e la disoccupazione, dovranno essere ricollocati
in altre realtà proprietà dei soci. Ma un grosso carico del fallimento
di piazzale Kennedy cadrà anche sui cittadini, non solo per l’ormai
inevitabile refrain di spreco di denaro pubblico, ma anche per l’incerto futuro di tutte quelle kermesse che vedevano nella Fiera di Genova la propria casa
e che portavano sotto la Lanterna interessi commerciali e turistici: su
tutte, il Salone Nautico, la Fiera Primavera ed Euroflora.
Ecco, allora, che tutti gli attori protagonisti tornano a
intrecciarsi sul palcoscenico. Una volta messa in liquidazione la
società a fine mese, infatti, il Comune di Genova potrebbe lanciare il
bando di gara internazionale fondamentale per la valorizzazione delle
aree. Una “sfida” con lo scopo di portare nel capoluogo nuovi investitori privati nel solco del percorso tracciato dall’attualmente utopico Blue Print. Secondo le prime, ottimistiche stime, il passaggio dalla penna dell’archistar genovese alla realtà del waterfront genovese costerà 150 milioni
di euro: l’Autorità Portuale si è detta disponibile a “elargire” 70
milioni provenienti dai fondi non utilizzati per la riqualificazione di
Cornigliano e delle aree ex Ilva ma, anche se così fosse, resterebbe
comunque una fetta consistente di denari da coprire. Da qui, l’esigenza
di far confluire a Genova investitori privati, come ha sempre sostenuto
il sindaco Marco Doria. Le aree interessate a questo processo sono quelle del levante cittadino: punto di partenza imprescindibile dovrebbe essere l’abbattimento del palazzo ex Nira
e dei padiglioni fieristici vuoti e ormai desueti; poi si passerebbe
alla realizzazione di nuove costruzioni da destinare a servizi, attività
e, in parte, nuove abitazioni; infine, toccherebbe alla creazione del nuovo canale di calma che, affiancato da un nuovo percorso ciclopedonale in quelle che attualmente sono aree portuali, collegherà punta Vagno, la foce del Bisagno e piazzale Kennedy con calata Gadda e il Porto Antico,
staccando di fatto dalla terraferma tutte le aree industriali del
porto, comprese quelle delle riparazioni navali. Ma, per il momento, è
tutto poco più che un disegno blu che potrebbe risultare inutile se le
istituzioni non riuscissero a fare quadrato per tenere a Genova alcuni
appuntamenti fieristici che, oramai, sono tutt’uno con la storia della
città.Salone Nautico: danno e beffa arrivano da Napoli
L’ultima
beffa, infatti, riguarda il Salone nautico e arriva da Napoli. Le
parole del presidente della Regione Campania, Vicenzo De Luca, hanno
colpito il cuore di una delle kermesse più importanti del capoluogo
ligure: «Nauticsud è ripartito ed ha già superato Genova per la presenza
di espositori» ha detto il governatore partenopeo. Difficile capire
quanto l’uscita di De Luca sia reale o benaugurale, resta il fatto che
la manifestazione che caratterizza ogni autunno sotto la Lanterna dal
1962, ha progressivamente perduto il titolo di fiera più importante del
mondo nel settore nautico, passando a evento di rilevanza europea fino a
doversi accontentare di dominare sul Mediterraneo, dopo essere stato abbondantemente superato dal salone di Dusseldorf.
Che cosa resta oggi, dunque, del Salone
Nautico? Difficile individuare come un castello sia stato smontato
mattone per mattone ma, di sicuro, l’anno in cui ha avuto inizio il
decadimento dell’impero è il 2009. All’epoca scoppiò la bolla della
crisi economica che tuttora attanaglia il paese. Ma, se su questa prima
debacle nulla si poté fare, il ragionamento sugli anni successivi
avrebbe dovuto essere di diversa natura. Responsabilità interne, il
“divorzio” tra Fiera di Genova e Ucina (storica co-organizzatrice della
kermesse), la Confindustria Nautica e la perdita da parte di
quest’ultima di quasi tutti i cantieri nautici nazionali. Ucina ha, tra
l’altro, annunciato anche il “Salone bis” che in primavera si terrà a
Venezia. Gli esperti del settore hanno pochi dubbi: Salone Nautico e Genova non rappresentano più un binomio inscindibile.
I dipendenti della Fiera e la partita del ricollocamento
Come
detto in precedenza, c’è una categoria che rischia di pagare più di
tutte le altre lo scotto del baratro in cui si trova immersa la Fiera di
Genova. Un percorso scandito a date e a striscioni, il cui più
esplicativo recita: “Ci volete tutti morti”. Dopo interminabili
commissioni nella Sala Rossa di Palazzo Tursi, dopo proteste in
Consiglio regionale e riunioni senza risultati concreti, la partita sui 39 dipendenti della Fiera potrebbe concludersi il 15 marzo.
Una vera e propria corsa contro il tempo per chiudere la questione e
trovare una ricollocazione ai lavoratori. Lunedì 7 marzo, infatti, sono
scaduti i primi 45 giorni dall’inizio della procedura di messa in
mobilità dei lavoratori prima della liquidazione dell’azienda e non
essendo state sufficienti le trattative sindacali, la palla è passata
alla Regione che da quel momento ha ancora 30 giorni di tempo per
risolvere la vertenza. Se anche quest’ultimo mese dovesse essere infruttuoso, i dipendenti sarebbero tutti licenziati e andrebbero in mobilità
con le relative indennità per due anni. Ecco perché il 15 marzo, il
nuovo incontro in Regione potrebbe essere la chiave di volta di tutta la
vicenda, pur in un contesto piuttosto inconsueto in cui il regista delle operazioni, ovvero la Regione, è anche una della parti in causa chiamata a trovare una soluzione, essendo uno dei soci di Fiera.
L’esito della trattativa non è per nulla scontato. La soluzione proposta dal Comune di Genova non soddisfa le esigenze di tutti i lavoratori
che, secondo Tursi, potrebbero essere ricollocati nelle aziende
partecipate Amiu, Aster, Asef e Spim. Sono i 24 lavoratori che, secondo
l’ipotesi di accordo, sarebbero destinati all’Amiu, a dire un secco no.
Il problema non è difficile da individuare, basta porre una semplice
domanda: può un contratto a 18 ore a settimana con uno stipendio di
circa 600 euro al mese essere sufficiente per vivere? La risposta è no. «Il nostro scopo è quello di avere garanzie sull’occupazione – ha detto Silvia Avanzino, della Fisascat Cisl – ma
questo non dev’essere slegato da quella che è l’attività fieristica e
da tutta la partita Fiera. Ricordo che a oggi è in corso una procedura
di cessazione dell’attività». Insomma, non se ne fa certo una questione di tipologia di lavoro, ma di reddito. Va anche detto che il Comune di Genova è stato l’unico dei soci pubblici a farsi avanti,
mentre Regione Liguria, Città Metropolitana, Camera di Commercio e
Autorità Portuale non hanno ancora dato disponibilità a farsi carico dei
dipendenti. La strada delle partecipate per ora sembra essere l’unica
percorribile ma la proposta dovrà essere rimodulata.
di Michela Serra
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