Innanzitutto, il sindaco di Verona, denuncia il dramma di più di 32 milioni di debiti accumulati negli ultimi anni sul teatro stabile dell'Arena. Però, la gestione è del Comune stesso. In seguito, perciò, alla fallimentare gestione e mentre a Roma si sta per decidere se e come salvare Fondazione Arena, appesa ad un filo sopra il baratro della gestione fallimentare, a Verona con ben studiato tempismo e geometrica sincronia, i giornali si sono riempiti dei grafici che illustrano il progetto di fare dell'Arena una società per azioni. Progetto che, sembra, non avrebbe niente a che vedere con il Comune. Però, sembra, che l'eventuale Spa dovrebbe avere tra i suoi soci fondatori anche il Comune. Anche se, sembra, che Tosi, come una parte, purtroppo, dei politici italiani, veda la privatizzazione come la soluzione d'ogni problema. Gettando alle ortiche il principio secondo cui il bene culturale deve essere garantito dallo Stato. Purtroppo, da noi in Italia e non soltanto, liberali - neoliberisti sia di centrosinistra che di centrdestra non fanno che ripetere il ritornello "ritirata dello Stato" da qualsiasi ambito, anche da quelli più nevralgici, anzi a cominciare proprio da quelli, come ls sanità, l'istruzione e, appunto, la cultura. E, citano, esempi di cattiva gestione pubblica come se fosse impossibile allo Stato ottenere dei profitti e, d'altra parte, gabellano dei privati che risanano a suon di tagli quali modelli di gestione virtuosa. E, oltre a ciò, nel caso specifico, il fatto che la Spa dovrebbe essere a partecipazione mista farebbe pensare ad una socializzazione delle perdite. Eppure, in Italia, ci fu un'epoca in cui il bene pubblico veniva gestito con efficacia e rigore. Per cui viene da pensare che a fare la differenza erano le persone e non il tipo di gestione, pubblica o privata, che sia. E, per di più, sempre nel caso dell'Arena, si accenna, in caso di commissariamento, ad un esponente del Partito Democratico. Insomma, assai probabilmente, l'Arena di Verona verrebbe curata a forza di tagli per quel che riguarda la lirica e la sinfonica. Mentre, per i lavoratori ci sarebbero i contratti a termine ed il precariato. Ora, cari lettori, vi chiederete: e Genova che cosa c'entra? Che cosa c'entra il nostro Teatro Carlo Felice? Già, che cosa c'entrano Genova e il suo Teatro lirico? Perché la stagione attuale è stata una delle stagioni più positive degli ultimi anni in termini di pubblico (già superate le 80mila presenze per la lirica) e critica. Il disavanzo operativo, dal 2014, si è dimezzato. E, nonostante ciò l’anticipo della sovvenzione pubblica, del Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) del 2016, da 5 milioni di euro, è in ritardo. Per cui, ai conti del Carlo Felice mancano 13 milioni di euro. E il debito del Carlo Felice è cresciuto oltre i 20 milioni certificati nel 2014. Dunque, viene spontanea la domanda: se il Carlo Felice funziona, perché il denaro pubblico non arriva? Come nel caso dell'Arena, oggi, in Italia, c'è una sorte di "pensiero unico" egemone. Per cui, la crisi del neoliberismo la si può curare soltanto a base di dosi sempre più massicce dello stesso neoliberismo e, il malato, cioè l'Italia e la sua economia o guariscono (come dicono gli economisti neoliberisti) oppure muoiono (come dicono il buon senso e la realtà delle cose). Di uscire dal sistema economico neoliberista neanche a parlarne, ovviamente. Da questa premessa scaturisce il principio successivo, per cui la crisi la si allevia soltanto a forza di tagli e di privatizzazioni. Anzi, si deve dimostrare agli italiani che l'unica ancora di salvezza sta nel "privato". E, che una cultura pubblica, (come una sanità pubblica, un trasporto pubblico o un'istruzione pubblica) non sono semplicemente "sostenibili".
venerdì 15 aprile 2016
Carlo Felice, si parla dello "spettro dell’Arena", però c'è qualcosa che non mi quadra
Innanzitutto, il sindaco di Verona, denuncia il dramma di più di 32 milioni di debiti accumulati negli ultimi anni sul teatro stabile dell'Arena. Però, la gestione è del Comune stesso. In seguito, perciò, alla fallimentare gestione e mentre a Roma si sta per decidere se e come salvare Fondazione Arena, appesa ad un filo sopra il baratro della gestione fallimentare, a Verona con ben studiato tempismo e geometrica sincronia, i giornali si sono riempiti dei grafici che illustrano il progetto di fare dell'Arena una società per azioni. Progetto che, sembra, non avrebbe niente a che vedere con il Comune. Però, sembra, che l'eventuale Spa dovrebbe avere tra i suoi soci fondatori anche il Comune. Anche se, sembra, che Tosi, come una parte, purtroppo, dei politici italiani, veda la privatizzazione come la soluzione d'ogni problema. Gettando alle ortiche il principio secondo cui il bene culturale deve essere garantito dallo Stato. Purtroppo, da noi in Italia e non soltanto, liberali - neoliberisti sia di centrosinistra che di centrdestra non fanno che ripetere il ritornello "ritirata dello Stato" da qualsiasi ambito, anche da quelli più nevralgici, anzi a cominciare proprio da quelli, come ls sanità, l'istruzione e, appunto, la cultura. E, citano, esempi di cattiva gestione pubblica come se fosse impossibile allo Stato ottenere dei profitti e, d'altra parte, gabellano dei privati che risanano a suon di tagli quali modelli di gestione virtuosa. E, oltre a ciò, nel caso specifico, il fatto che la Spa dovrebbe essere a partecipazione mista farebbe pensare ad una socializzazione delle perdite. Eppure, in Italia, ci fu un'epoca in cui il bene pubblico veniva gestito con efficacia e rigore. Per cui viene da pensare che a fare la differenza erano le persone e non il tipo di gestione, pubblica o privata, che sia. E, per di più, sempre nel caso dell'Arena, si accenna, in caso di commissariamento, ad un esponente del Partito Democratico. Insomma, assai probabilmente, l'Arena di Verona verrebbe curata a forza di tagli per quel che riguarda la lirica e la sinfonica. Mentre, per i lavoratori ci sarebbero i contratti a termine ed il precariato. Ora, cari lettori, vi chiederete: e Genova che cosa c'entra? Che cosa c'entra il nostro Teatro Carlo Felice? Già, che cosa c'entrano Genova e il suo Teatro lirico? Perché la stagione attuale è stata una delle stagioni più positive degli ultimi anni in termini di pubblico (già superate le 80mila presenze per la lirica) e critica. Il disavanzo operativo, dal 2014, si è dimezzato. E, nonostante ciò l’anticipo della sovvenzione pubblica, del Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) del 2016, da 5 milioni di euro, è in ritardo. Per cui, ai conti del Carlo Felice mancano 13 milioni di euro. E il debito del Carlo Felice è cresciuto oltre i 20 milioni certificati nel 2014. Dunque, viene spontanea la domanda: se il Carlo Felice funziona, perché il denaro pubblico non arriva? Come nel caso dell'Arena, oggi, in Italia, c'è una sorte di "pensiero unico" egemone. Per cui, la crisi del neoliberismo la si può curare soltanto a base di dosi sempre più massicce dello stesso neoliberismo e, il malato, cioè l'Italia e la sua economia o guariscono (come dicono gli economisti neoliberisti) oppure muoiono (come dicono il buon senso e la realtà delle cose). Di uscire dal sistema economico neoliberista neanche a parlarne, ovviamente. Da questa premessa scaturisce il principio successivo, per cui la crisi la si allevia soltanto a forza di tagli e di privatizzazioni. Anzi, si deve dimostrare agli italiani che l'unica ancora di salvezza sta nel "privato". E, che una cultura pubblica, (come una sanità pubblica, un trasporto pubblico o un'istruzione pubblica) non sono semplicemente "sostenibili".
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