Emergenza
ambientale a Genova, per la rottura di un tubo dell’oleodotto Iplom ha invaso il rio Fegino all’altezza di salita Pianego in Valpolcevera.
L’onda ha inquinato il rio ed ha raggiunto il Polcevera. Il tubo a monte è stato chiuso, ma il
materiale che si è riversato nel greto del Fegino ed è affluito nel
torrente più grande arrivando fino alla foce. Sul posto hanno lavorando gli agenti di polizia
municipale del Reparto ambiente insieme ai vigili del fuoco.
Mentre la magistratura indaga,
l’azienda e le istituzioni cercano di accelerare al massimo i tempi di
messa definitiva in sicurezza con l’ansia piogge e sversamento in mare,
Si è scovato un elemento che al grave danno aggiungerebbe una
altrettanto grave beffa. L’intervento per arginare i danni
causati dalla rottura della tubatura di Fegino, è stato condotto sulla
base di un Piano di Emergenza Esterno che risulta non essere aggiornato
dal 2012 e, quindi, secondo quanto previsto dalla legge, “scaduto” nel
2015. Un caso non isolato: la situazione è ancora più grave ed
inquietante se si guarda all’altro impianto petrolifero presente sul
territorio metropolitano genovese, cioè la raffineria Iplom di Busalla, dove l’ultimo piano risale al 2006. La responsabilità di questo documento è della Prefettura di Genova
che, come tutte le prefetture, ha il compito previsto dal legislatore
di redigere questo documento, verificarlo e tenerlo aggiornato secondo
criteri e scadenze precise.
Il quadro normativo
La legge parla chiaro: per ogni impianto industriale considerato a rischio rilevante, la Prefettura di competenza ha l’obbligo di redigere il Piano di Emergenza Esterno (PEE), renderlo di evidenza pubblica e aggiornarlo al massimo ogni tre anni.
Il quadro normativo di riferimento è il Decreto Legislativo 105, del 26
giugno 2015, che recepisce (sforando di un mese sulla scadenza ultima)
l’aggiornamento apportato dalla direttiva comunitaria del 4 luglio 2012
alla precedente “Direttiva Seveso” del 1982 (recepita dal legislatore
italiano nel 1988), già aggiornata in precedenza durante lo stesso 1982
(in Italia solo nel 1999) e poi nel 2003 (nel nostro ordinamento dal
2005). Una storia, quindi, costellata di ritardi.
La norma prevede tutta una serie di
obblighi atti a prevenire gravi incidenti industriali, con le relative
conseguenze su persone e ambiente, come appunto accadde il 10 luglio del
1976 a Seveso, quando un’enorme nube tossica fuoriuscì dagli impianti
chimici della ICMESA, investendo terreni e abitazioni.
Da quel disastro, quindi, nacque l’esigenza a livello europeo di avere regole precise e rigorose per evitare nuove sciagure. Tra gli elementi chiave della direttiva, l’obbligo di studiare e rendere operativi piani di emergenza esterni: organizzare, cioè, strategie di azione in tutte quelle ipotetiche situazioni di crisi che coinvolgono l’ambiente esterno all’impianto in questione.
Da quel disastro, quindi, nacque l’esigenza a livello europeo di avere regole precise e rigorose per evitare nuove sciagure. Tra gli elementi chiave della direttiva, l’obbligo di studiare e rendere operativi piani di emergenza esterni: organizzare, cioè, strategie di azione in tutte quelle ipotetiche situazioni di crisi che coinvolgono l’ambiente esterno all’impianto in questione.
Che cos’è il Piano di Emergenza Esterno
Nel
dettaglio, il PEE elenca tutte le sostanze pericolose presenti nel sito
e i luoghi dove sono stoccate, prevede una casistica di incidenti
potenziali secondo i diversi livelli di gravità, cataloga le aree
attigue differenziandole in zone di danno potenziale, e stila una serie
di interventi possibili, mappando criticità, l’assetto idrogeologico,
ulteriori aree a rischio limitrofe, gli accessi agli impianti e le vie
di fuga per la popolazione, e coordinando Vigili del Fuoco, Protezione
Civile, Polizia ed enti territoriali.
In altre parole, con il PEE, in
caso di incidente, si sa cosa c’è, si sa dove è, si sa cosa può
succedere, e soprattutto si sa subito come intervenire il più
efficacemente possibile.
Proprio per questo, il suo aggiornamento
è fondamentale. Ogni modifica sostanziale degli impianti, infatti, deve
essere catalogata e verificata, ma non solo: anche semplici cambiamenti
viari e delle infrastrutture limitrofe a un determinato impianto
possono costituire un fattore di novità importante, che è meglio non
appurare ad emergenza in corso.
Il PEE scaduto dell’Iplom di Fegino
Ritardi,
dicevamo. Per quanto riguarda gli impianti di Fegino, sul sito web
della Prefettura è pubblicato integralmente un PEE, datato 2012. Sullo
stesso documento, però, viene predisposto un aggiornamento su base
triennale, la cui prima scadenza, quindi risulta essere il 2015. In
altre parole, quello vigente è un piano scaduto, non aggiornato, vecchio.
L’intervento che ha seguito lo sversamento di petrolio nel rio Fegino, e
poi nel Polcevera, quindi, potrebbe essere stato inficiato da questo
dato.
Abbiamo chiesto chiarimenti alla Prefettura, le cui uniche risposte sono state una serie di rimbalzi interni, unita a un «non possiamo rispondere né in senso né nell’altro».
Il PEE scaduto dell’Iplom di Busalla
Torniamo a Busalla. Il PEE relativo alla
raffineria Iplom non si trova sul sito della Prefettura e, in base alle
nostre ricerche, non ne esiste copia pubblica. Abbiamo contattato,
quindi, il sindaco di Busalla, Loris Maieron, che ci ha confermato che
l’ultima versione disponibile risale al 2006, quindi scaduta dal 2009: «Appena mi sono insediato, nel 2014, ho appurato questa situazione – precisa il primo cittadino – e ho fatto diverse richieste al Prefetto in merito, l’ultima volta ufficialmente l’agosto scorso».
Anche
Iplom, da parte sua, ci ha confermato questo dato, mettendo la propria
copia a disposizione per una consultazione in quanto «documento pubblico», come ha specificato l’ufficio stampa dell’azienda.
Anche in questo caso abbiamo chiesto chiarimenti ai funzionari degli uffici prefettizi di Genova che, dopo una serie di ricerche interne, hanno confermato la situazione: il PEE relativo alla raffineria di Busalla risale al 2006 e non è pubblico perché in fase di aggiornamento. Alla domanda sul perché di un tale ritardo la risposta è stata un secco «no comment».
Anche in questo caso abbiamo chiesto chiarimenti ai funzionari degli uffici prefettizi di Genova che, dopo una serie di ricerche interne, hanno confermato la situazione: il PEE relativo alla raffineria di Busalla risale al 2006 e non è pubblico perché in fase di aggiornamento. Alla domanda sul perché di un tale ritardo la risposta è stata un secco «no comment».
Alla luce di questi dati, quindi, è
legittimo pensare che l’emergenza successiva all’incidente di domenica
17 aprile, che in queste ore sta tenendo con il fiato sospeso tutta la
città, e non solo, potesse essere affrontata in maniera più efficace se
il PEE fosse stato aggiornato, come prescritto dalla legge. Un dubbio
che rimarrà tale. Per quanto riguarda Busalla, invece, la speranza è
quella di non doversi porre mai questa domanda.
Nicola Giordanella
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